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M5S, Conte alla prova tra sentenza Napoli e voto. L’ex premier sfida Draghi su Ucraina: “Pace va imposta”

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Per la maggioranza a guida Mario Draghi sarà una settimana sull’ottovolante. Come ogni campagna elettorale che si rispetti gli ultimi giorni saranno quelli più caldi, e non solo per le temperature africane. Con 978 i Comuni chiamati al voto: 142 oltre i 15 mila abitanti, 26 i capoluoghi di provincia tra cui 4 di Regione (Genova, Catanzaro, L’Aquila e Palermo) e il Parlamento chiuso per permettere a senatori e deputati di sostenere i candidati a sindaco sul territorio, anche i leader viaggeranno in lungo e largo la penisola, tenendosi lontano da Roma.Gli occhi restano, tuttavia, puntati su Giuseppe Conte, stretto tra un fittissimo programma di appuntamenti elettorali e i travagli interni al Movimento 5Stelle. Attesa per martedì 7 giugno la sentenza del tribunale di Napoli, che tornerà ad esprimersi sul voto del nuovo Statuto, dopo la sospensione di quello che aveva dato inizio all’era dell’ex premier. Nessun timore, confida ai cronisti napoletani il presidente grillino: “Non sono preoccupato, il percorso che abbiamo fatto è per garantire le rivotazioni nella massima sicurezza giuridica. Siamo fiduciosi che il tribunale ne prenderà atto. Speriamo che il tribunale possa certificare, come siamo convinti, la piena legittimità del nostro operato”.

In via di Campo Marzio, però, non è solo l’ansia per la sentenza a tenere banco. Il bilancio del Movimento è stato approvato, ma tante restano le restituzioni dei parlamentari che non sono state evase, soprattutto tra chi pensa – o ha certezza – che il prossimo anno non sarà candidato per la nuova legislatura. “Il tema delle restituzioni esiste, ma molto serenamente lo affronteremo”, taglia corto Conte. Intanto l’avvocato pugliese è tornato a punzecchiare l’esecutivo. “Se vogliamo far cadere il governo? Assolutamente no, lavoriamo per rafforzarne l’azione ma nella direzione giusta”, dice mettendo in fila una serie di paletti. Sul tema Ucraina “ora possiamo essere protagonisti sulla guerra: basta riarmo ed escalation militare. Vogliamo che Draghi sia protagonista in Europa: non per proporre la pace, ma per imporla”, scandisce. Parole che fanno balzare sulla sedia Carlo Calenda: “Cretinate e delirio egotico. Il Pnrr nasce in un incontro Merkel Macron. Imporre la pace a chi? A Putin? Come se non aiutando con le armi gli ucraini! Per cortesia”.

Anche dal Pd arriva il distinguo di Andrea Marcucci, “la pace si deve imporre a Putin, Giuseppe Conte dovrebbe saperlo. Riuscire a costruirla, interrompendo la spedizione di armi agli ucraini, mi sembra impossibile”. Conte comunque non demorde. La lista delle cose da fare è chiarissima: “Il salario minimo non è nella cultura del nostro Paese? Forse non è nella cultura di alcuni politici. Se per loro è normale prendere paghe da fame da 3-4 euro lordi l’ora questa non è la politica del M5S e non la accetteremo mai fino a quando non sarà approvato il salario minimo”. E infine lancia il guanto di sfida: “Noi non stiamo zitti e buoni, noi pretendiamo sia fatto interesse cittadini. Bisogna intervenire sul cuneo fiscale per lavoratori e ceto medio. Ai lavoratori poveri serve il salario minimo”. M5S rappresenta la maggioranza relativa – è il ragionamento – e deve dare l’imprinting all’esecutivo. Difficile tuttavia che Draghi accetti di essere sotto scacco di un partito piuttosto che di un altro e – incassato il primo ok al ddl concorrenza e la stretta di mano sul fisco – è plausibile che lasci ‘cantare’ i leader in cerca di consensi. Aspettando il silenzio, almeno nei due giorni prima della chiusura delle urne. 

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