Pesanti le richieste di condanna arrivate dalla procura generale nel processo di appello al cosiddetto ‘Mondo di mezzo’ che si tiene nell’aula bunker di Rebibbia, a Roma. Ventisei anni e mezzo e 25 anni e nove mesi di carcere chiesti rispettivamente per Massimo Carminati e Salvatore Buzzi, ritenuti capi di una presunta organizzazione criminale che, secondo l’accusa, teneva sotto scacco pezzi di amministrazione pubblica. Chieste complessivamente per i 43 imputati pene per oltre 470 anni di carcere.
Nel procedimento figurano ex amministratori locali di diversi schieramenti politici, ex dipendenti pubblici e dirigenti di azienda: ci sono, tra gli altri, Franco Panzironi (chiesti per lui 14 anni di carcere) in passato ai vertici dell’azienda romana dei rifiuti (Ama) come amministratore delegato, l’ex capogruppo Pdl in Regione Lazio Luca Gramazio (chiesti 18 anni), l’ex presidente dell’Assemblea capitolina, Mirko Coratti (4 anni e mezzo), l’ex presidente del municipio di Ostia Andrea Tassone (4 anni), e gli ex consiglieri comunali Pierpaolo Pedetti del Pd (5 anni e sei mesi) e Giordano Tredicine del Pdl (4 anni).
Tra i 19 imputati per associazione di stampo mafioso, oltre a Carminati, Buzzi, Panzironi e Gramazio, sono a processo l’ex dirigente di Eur spa Carlo Pucci (chiesti per lui 14 anni e sei mesi di carcere), i collaboratori di Carminati, Riccardo Brugia, (chiesti 24 anni di carcere), Roberto Lacopo (chiesti 19 anni) e Matteo Calvio (chiesti 18 anni); la segretaria di Buzzi, Nadia Cerrito (chiesti 13 anni e sei mesi), il commercialista Paolo Di Ninno (chiesti 17 anni e sei mesi), la compagna dell’imprenditore, Alessandra Garrone (chiesti 17 anni), e il suo stretto collaboratore Carlo Maria Guarany (chiesti 15 anni).
Chiesti rispettivamente 16 anni e dieci mesi e 16 anni e due mesi, per gli imprenditori Agostino Gaglianone e Giuseppe Ietto, ritenuti a servizio dell’associazione; e 16 anni di carcere per Rocco Rotolo e Salvatore Ruggiero, considerati dall’accusa il punto di contatto tra il gruppo e la ‘ndrangheta.
“Chiediamo di ripristinare il 416bis nelle forme pluriaggravate nelle quali viene contestato – ha sottolineato davanti alla Terza Corte d’Appello il procuratore generale Antonio Sensale -. Riteniamo sussistente l’articolo sette per le estorsioni e gli episodi corruttivi contestati” ha aggiunto.
Negli anni, secondo le ipotesi dell’accusa, il gruppo capitanato da Massimo Carminati, che in origine aveva stretti legami con la cosiddetta banda della Magliana, sarebbe cresciuto diventando più potente e ampliando il proprio raggio d’azione da banda criminale dedita all’estorsione, a organizzazione impegnata nel controllo di attività economiche, appalti e commesse pubbliche.
Dopo il 2011 si sarebbero stretti i legami con Salvatore Buzzi: l’associazione sarebbe ulteriormente cresciuta arrivando a condizionare la politica e la pubblica amministrazione, senza però mai abbandonare la strada originaria, della violenza, dell’estorsione e dell’usura, perché da quella, sostiene l’accusa, trae forza la ‘nuova mafia’, proprio come quelle ‘tradizionali’.
E così l’imprenditore delle cooperative romane avrebbe scelto l’ex estremista nero come socio per il timore che incuteva il suo nome, per i suoi contatti con la destra romana, e soprattutto, sostiene la procura, per avere un socio sempre pronto al ‘lavoro sporco’ fatto di minacce e violenza contro chi non stava ai patti dettati dall’associazione.