Malala Yousafzai è tornata in Pakistan per la prima dal 2012, quando fu ferita a colpi d’arma da fuoco dai talebani che la consideravano colpevole di sostenere l’educazione per le bambine e le ragazze. “E’ il giorno più felice della mia vita, non riesco a credere che stia accadendo”, ha detto asciugandosi le lacrime, “di solito non piango”, ma “da anni sogno di poter tornare in Pakistan e, in pace e senza paura, di poter camminare nelle strade, incontrare persone, parlare alla gente”, ha detto. Da quando i talebani oltre cinque anni fa l’hanno ferita alla testa, la giovane ora 20enne ha vissuto nel Regno Unito, studiando all’università di Oxford, è stata insignita del premio Nobel per la pace e continua a promuovere l’educazione femminile. Il viaggio di Malala durerà quattro giorni, sul cui programma è stato mantenuto il massimo riserbo.
Malala è arrivata con i genitori in una visita non annunciata all’aeroporto Benazir Bhutto di Islamabad, dove è stata accolta da massicce misure di sicurezza. Quando i pakistani hanno saputo del suo rientro, hanno inondato i social network di messaggi, in gran parte in suo sostegno, in altri casi accusandola di alimentare il dissenso. Frange conservatrici la considerano un’agente straniera e una portavoce della spinta occidentale per l’emancipazione femminile, che ritengono pericolosa. L’attivista ha incontrato il premier Shahid Khaqan Abbasi e dal suo ufficio è comparsa in un intervento televisivo, in cui ha chiesto unità nel Paese, politiche a favore delle donne e investimenti sull’educazione infantile. Di recente, i fondi della fondazione Malala Fund che ha istituito con il padre Ziauddin hanno contribuito alla costruzione di una scuola nella valle dello Swat.
Non è noto se la donna tornerà nella sua regione di Swat, nel nordovest del Paese, un tempo roccaforte dei militanti. Era il 9 ottobre 2012, quando in quella regione i talebani fermarono lo scuolabus a bordo del quale Malala tornava dalle lezioni nella città di Mingora, chiedendo: “Chi è Malala?”. Le spararono alla testa a distanza ravvicinata. La giovane fu trasferita nel Regno Unito e curata a Birmingham, dove ha poi ripreso gli studi. Nel 2014 ha ricevuto il Nobel per la pace, diventando la più giovane persona ad averlo mai vinto. Gli estremisti la conoscevano perché da quando aveva 11 anni prendeva posizione a favore dell’istruzione femminile, scrivendo anche un blog su BBC Urdu in cui raccontava la vita sotto il controllo dei talebani.
Al tempo, gli estremisti dissero di averla colpita perché era “pro-Occidente” e “promuoveva la cultura occidentale nelle zone Pashtun”. L’uomo sospettato di averle sparato, identificato dalle autorità come Ataullah Khan, sarebbe libero in Afghanistan, così come il capo dei talebani, mullah Fazlullah, che avrebbe ordinato di ucciderla. Nel 2015 era emerso che otto presunti assalitori erano stati scarcerati in segreto per prove insufficienti, mentre altri due furono condannati.