Nella Croce di Cristo, ci sono tutte le croci del mondo. Come quella dei migranti, che “trovano le porte chiuse a causa della paura e dei cuori blindati dai calcoli politici”. La preghiera di Papa Francesco al termine della via Crucis al Colosseo è un grido alle coscienze sopite dei leader responsabili delle sorti di chi “affamato di pane e di amore”, “assetato di giustizia e di pace”, vive il suo calvario in cerca di un luogo in cui semplicemente poter vivere. La croce di Cristo, dice, è quella della “nostra casa comune che appassisce seriamente sotto i nostri occhi egoistici e accecati dall’avidità e dal potere”. Quella delle “nostre debolezze, delle nostre ipocrisie, dei nostri tradimenti, dei nostri peccati e delle nostre numerose promesse infrante”.
La via dell’agonia, oggi, passa dalle strade su cui le donne vengono sfruttate come schiave del sesso, ma anche per il deserto e per i mari, che sono diventati nuovi cimiteri, osserva suor Eugenia Bonetti nelle sue meditazioni che hanno accompagnato il suggestivo percorso nelle vie attorno all’Anfiteatro Flavio e che sono tra le più potenti degli ultimi anni.
Le riflessioni della religiosa inchiodano tutti alle proprie responsabilità e denunciano la disumanità con cui, incuranti, lasciamo agonizzare chi fugge dalla fame e dalla guerra nei “campi di raccolta simili a lager nei paesi di transito”, e con cui neghiamo alle navi che li hanno sottratti alle onde un porto sicuro. “Fratelli che lasciano morire altri fratelli. Uomini, donne, bambini che non abbiamo potuto o voluto salvare”.
Suor Eugenia, missionaria della Consolata, è presidente dell’associazione Slaves no More, che dal 2012 lotta contro il traffico di esseri umani. “Mentre i governi discutono, chiusi nei palazzi del potere, il Sahara si riempie di scheletri di persone che non hanno resistito alla fatica, alla fame, alla sete. Quanto dolore costano i nuovi esodi! Quanta crudeltà si accanisce su chi fugge: i viaggi della disperazione, i ricatti e le torture, il mare trasformato in tomba d’acqua”.