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Pd, tutto da rifare. Renzi domani affronta direzione del partito

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Partito democratico anno zero. Di nuovo. E’ l’aprile del 2013 quando Pier Luigi Bersani lascia la segreteria del Nazareno, dopo la doppia bocciatura dei candidati dem Marini-Prodi nella corsa al Quirinale. Per il Pd sono pagine buie. Il ‘traghettatore’ Epifani porta il partito al congresso in dicembre e nel giro di pochi mesi, grazie anche alle rapide manovre del nuovo segretario rottamatore Matteo Renzi, il Pd – da sconfitto e quasi ferito a morte – diventa il gruppo più votato in Europa e più numeroso a Strasburgo, con il 40% delle Europee del 2014: rinato. 

E se le amministrative riportano i dem ad analizzare risultati elettorali “non omogenei” ma di certo non eccellenti, è con la batosta referendaria di ieri che arriva una nuova caduta.
La direzione, annunciata per oggi da Lorenzo Guerini, a dieci minuti dalla chiusura delle urne, slitta a mercoledì. Tanti i parlamentari dem vicini al premier che non escludono la volontà di Renzi di lasciare anche il Nazareno. “E’ nero – spiega qualcuno – non ne vuole sapere di correnti e caminetti”. Il segretario, dopo aver lottato “come un leone” per la sua battaglia, si è reso conto di aver combattuto da “solo” contro tutto il fronte del No. L’idea di prendere sei mesi ‘sabbatici’, lo stuzzica. Un segretario traghettatore potrebbe consentirgli di riprendere fiato e tornare in vista del congresso del 2017.

I fedelissimi provano a dissuaderlo. “Tutto è iniziato col 40% nel 2012. Abbiamo vinto col 40% nel 2014. Ripartiamo dal 40% di ieri!“, sembra incoraggiarlo su Twitter il braccio destro Luca Lotti.

 

 

Tra i suoi il pressing di chi gli chiede di restare è asfissiante. Un richiamo collettivo “alla responsabilità” nonostante “la rabbia e la delusione”. Ecco allora che 24 ore di tempo in più prima della direzione potrebbero consentire ai dem a chi gli è più vicino, da Debora Serracchiani a Ettore Rosato (“Il Pd vuole che Renzi faccia il suo lavoro e tutti i milioni di elettori che hanno votato Si vogliono che Renzi continui il suo lavoro”, assicura il capogruppo a Montecitorio) di convincere il segretario a rimettere sì il suo mandato nella mani della direzione, per vedersi poi riconfermata la fiducia e dare lui le carte per le eventuali consultazioni e la modifica della legge elettorale.

Dalla minoranza non arrivano richieste di dimissioni, se non per bocca di Francesco Boccia. “Ho apprezzato le parole di Renzi di stanotte, ma per correttezza dovrebbe anche mettersi da parte come segretario del partito”, dice il presidente della commissione Bilancio alla Camera. Non chiedono la testa del segretario invece i bersaniani. “Non ho mai detto a Renzi di dimettersi da presidente del Consiglio, figuriamoci se gli chiedo di dimettersi da segretario del Pd – ribadisce Roberto Speranza -. Ora bisogna sostenere il lavoro che farà il presidente della Repubblica e i gruppi parlamentari del Pd”. Dello stesso avviso Pier Luigi Bersani.

L’ex segretario Pd si prende una piccola rivincita: “Avevamo visto giusto”, dice, sottolineando l’onda di “disaffezione e distacco” e rivendicando: “Non abbiamo accettato di consegnare tutto questo alla destra”. Adesso l’impegno è per la “stabilità” e per una “netta e visibile” correzione delle politiche. “E’ ora di comprendere finalmente che l’alternativa tra sinistra e destra si gioca nel profondo della società – è l’avvertimento – L’establishment viene dopo”.

Renzi sbaglierebbe a lasciare ora la segreteria del Pd, anche per il nemico di sempre Massimo D’Alema: “Se si dimettesse dovremmo fare un congresso ora, in un clima abbastanza avvelenato. Saggezza vorrebbe che si facesse una discussione seria all’interno del Pd e si cercasse un terreno di ricomposizione delle nostre forze”, dice.

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