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Pil, Confidustria stima crescita del +0,9% nel 2024

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Il Pil italiano nel 2024 è atteso crescere in linea con la dinamica osservata nel 2023: nello scenario base, si prevede un incremento annuo del +0,9%, ovvero 0,4 punti percentuali in più rispetto a quanto previsto nello scenario di ottobre scorso. La crescita nel 2025 è attesa poco superiore, al +1,1%”. È quanto emerge dal rapporto di previsione ‘Tassi, Pnrr, superbonus, energia: che succederà alla crescita italiana?’ elaborato dal Centro Studi di Confindustria e presentato questa mattina a Viale dell’Astronomia.

Gli industriali evidenziano che già nel 2023 la crescita italiana “ha sorpreso in positivo, arrivando al +0,9% annuo nonostante i tassi e l’inflazione alti” e decelerando “dai ritmi altissimi del 2021-2022, che incorporavano il recupero post-pandemia, ma molto meglio dei modesti ritmi italiani prepandemia. Una crescita 2023 – nota il Centro studi – che è pari al doppio di quella media dell’Eurozona. Da notare, peraltro, che, se non si fosse verificato uno straordinario decumulo delle scorte (- 1,3 il contributo al Pil), la crescita del Pil italiano sarebbe arrivata al +2,2%”.

Pnrr e taglio tassi Bce driver di crescita

Nel biennio di previsione 2024-2025, oltre al miglioramento della domanda globale che darà nuovo impulso all’export, due fattori potranno sostenere ancora la crescita italiana su ritmi significativi: il primo è il taglio dei tassi di interesse da parte della Bce, il secondo l’attuazione del Pnrr. Rispetto alle politiche di Francoforte, secondo gli industriali “è divenuto evidente che la Bce non sta più pensando a ulteriori rialzi e intravede l’inizio di una fase di tagli. Lo scenario di previsione segue queste indicazioni: al primo taglio a giugno, ne seguiranno altri tre entro fine anno, ipotizzati di un quarto di punto ciascuno, arrivando al 3,50%, un punto meno di oggi; nel 2025 seguiranno altri tre tagli, fino al 2,75%. A tali livelli, la policy monetaria continuerà ad essere (poco) restrittiva a fine orizzonte previsivo, in misura molto più limitata rispetto ad oggi. Ciò potrà dare maggiore slancio agli investimenti e anche ai consumi”. 

Costo elettricità e stop superbonus frenano crescita

Vari fattori frenano la crescita italiana: il costo dell’elettricità pagato dalle imprese che resta più alto in Italia rispetto all’Ue e ai grandi competitor Usa e Giappone, il phase out del Superbonus, le strozzature mondiali dei trasporti. Il prezzo alto che pagano le aziende per l’elettricità “crea uno svantaggio competitivo: una riforma del mercato elettrico e una maggiore quota di rinnovabili nella generazione elettrica, visto che oggi hanno costi inferiori alle fonti fossili, potrebbero attenuare i costi dell’energia in Italia e ridurre (sebbene non eliminare) la dipendenza estera”, sottolineano gli industriali. Rispetto invece al graduale phase out del Superbonus, già in scadenza a fine 2023 in termini di aliquota al 110%, e degli altri incentivi all’edilizia, le costruzioni ad uso residenziale, in termini di valore aggiunto e quindi di contributo al Pil, “dovrebbero risentire fortemente di tale prevista riduzione degli incentivi, già nel 2024 e in misura ancora maggiore nel 2025. La manifattura – afferma invece il centro studi – non dovrebbe risentirne molto. È chiaro che parte della crescita del Pil negli anni scorsi è attribuibile agli impatti del Superbonus, 2,4 punti percentuali in 4 anni”.

Terzo, le strozzature mondiali nei trasporti e il loro impatto negativo per l’industria italiana. “Il tema della sicurezza dei trasporti non riguarda solo il Mar Rosso, snodo cruciale dello scambio di merci tra Europa ed Asia, ma anche numerose altre fragilità lungo le rotte internazionali di trasporto, per esempio nello stretto di Malacca (in Asia) e nel canale di Panama (in America)”, fa presente Confindustria nel report. In Italia, “più della metà dei volumi di merci in entrata arriva via mare e le navi trasportano il 42% delle quantità esportate”. Diverse criticità, inoltre, si hanno anche nelle rotte regionali dei trasporti, che sono per lo più via terra: per l’Italia in particolare lungo l’arco alpino, per le connessioni con gli altri paesi Ue. A proposito della crisi nel Mar Rosso, in particolare, l’impatto dei recenti aumenti dei costi di trasporto marittimi, più che raddoppiati, sui prezzi alla produzione dell’industria italiana “è stimato complessivamente moderato, ma è forte in specifici settori come la chimica, la metallurgia, la carta”, si aggiunge.

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