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Preti pedofili a Savona. La diocesi citata per 5 milioni

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

La diocesi di Savone è citata in giudizio per un totale di quasi 5 milioni di euro per cinque casi di pedofilia. Tre delle vittime, 5 ragazzi, furono sottratti alle famiglie dai servizi sociali e affidati a don Nello Giraudo, che avrebbe abusato di loro. L’associazione Rete l’Abuso ha depositato cinque citazioni che chiamano in giudizio direttamente la diocesi di Savona, “la cui omissività ha permesso che don Nello Giraudo (denunciato all’allora vescovo di Savona Giulio Sanguineti già lo stesso anno dell’ordinazione sacerdotale) continuasse per quasi 30 anni ad abusare dei minori a lui affidati”. La prima udienza è fissata per il 15 novembre.

I fatti si riferiscono al secolo scorso e ai primi anni di quello in corso per un totale di alcuni decenni. A Savona, per una serie di circostanze, sembra ci fosse un’altissima concentrazione di preti pedofili. E che la vigilanza da parte della diocesi, fosse molto scarsa. Giraudo, ad esempio, spretato e processato per diversi episodi di pedofilia, veniva spostato di parrocchia in parrocchia ma sempre, purtroppo, a contatto con bambini e ragazzi. Solo nel 2003 (dopo che la storia durava almeno da 20 anni) il vescovo Domenico Calcagno scrisse una lettera a Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede spiegandogli la storia di don Giraudo pedofilo incorreggibile. Nella missiva, Calcagno raccontava che avrebbe cercato di evitare di metterlo a contatto con bambini e adolescenti, ma sembrava impotente di fronte al fatto che il sacerdote volesse continuare la sua attività pastorale. L’unica cosa sottolineata con forza era che, fino a quel momento nulla era trapelato sui giornali. Ratzinger, come altre volte, non rispose.

Uno legge carte, testimonianze, domande e risposte. E non ci può credere. Non può credere che tante storie atroci si siano concentrate, nell’ultimo decennio, in una sola diocesi, quella di Savona. Almeno quattro vescovi, Sabelli, Sanguinetti, Lanfranconi e Calcagno (attualmente cardinale e pronto a entrare domani in conclave) si sono trovati di fronte senza reagire a storie terribili di preti pedofili che hanno abusato di ragazzini e seminaristi affidati alle loro cure pastorali. Erano parroci, insegnanti di scuola media, professori e vicerettori del seminario vescovile, avrebbero dovuto insegnare ai ragazzi ad affrontare il mondo, hanno scelto invece di infilarsi nei loro letti, per fare sesso con loro. Hanno rovinato vite e coscienze, hanno strappato da quelle anime la fiducia in se stesse e nel prossimo. Li hanno trasformati, a volte, in sbandati e derelitti. Anche se alcuni dei ragazzi violentati sono riusciti a riemergere dall’altra parte della vita e sono diventati i loro implacabili accusatori.

Accusatori quasi del tutto inascoltati. Perché nessuno dei vescovi ha fatto qualcosa per fermare i molestatori, metterli nelle condizioni di non nuocere. Calcagno, a dire il vero, nel 2003 ha scritto una lettera a Joseph Ratzinger, allora Prefetto della Congregazione per la dottrina della Fede spiegandogli la storia di don Nello Giraudo pedofilo incorreggibile. Nella missiva, Calcagno racconta che cercherà di evitare di metterlo a contatto con bambini e adolescenti, ma sembra impotente di fronte al fatto che il sacerdote vuol continuare la sua attività pastorale. L’unica cosa sottolineata con forza è che, fino a quel momento nulla era trapelato sui giornali. Ratzinger, come tante altre volte, non risponde.

E, mentre oggi della vicenda si occupano giornali e televisioni di tutto il mondo, salta fuori un’altra storia che ha per protagonista don Piero Pinetto, docente al seminario e violentatore di studenti. Uno di questi, Alessandro Nicolich, scappò sconvolto dal seminario e finì, anni dopo tossicodipendente e morì a 39 anni di Hiv. Un buon parroco della stessa diocesi, don Giovanni Lupino denuncia e accusa: accusa i violentatori e denuncia i vescovi che non vollero o non seppero fermarli. Ma chiede di più, chiede che finisca l’omertà, che chi ha sbagliato chieda scusa e che, soprattutto, si spezzi la catena di falsa solidarietà che sembra intrecciare la vicenda dei preti pedofili con quella dei conti della diocesi.

Un altro parroco, non uno stinco di santo, a dire il vero, don Carlo Rebagliati rappresenta efficacemente questo intreccio. Lo rappresenta con le sue azioni, le sue debolezze, le sue denunce, le sue dimissioni e il suo tentativo di correggere e cambiare gli errori e i comportamenti in cui lui stesso è stato coinvolto. Oltre trent’anni fa, don Carlo Rebagliati era un prete che voleva davvero stare dalla parte degli ultimi e che credeva in una Chiesa più umana e più vicina ai problema della gente. Era gay (e ne faceva poco mistero) ma non aveva mai abusato di un minore. A un certo punto, negli anni ’90, gli vengono affidati i conti della diocesi. Non sappiamo se la scelta di Rebagliati venne fatta scientificamente. Di certo era un prete che aveva qualcosa da nascondere e che, forse, poteva essere pronto a nascondere, insieme, altre cose. Ma Rebagliati, a un certo punto, decide di spezzare la catena e, forse, uno dei fattori che lo spingono a uscire allo scoperto, è proprio la storia di don Nello Giraudo, il violentatore, che, per lui, si concretizza nella figura di Francesco Zanardi, uno dei ragazzi violentati da don Nello di cui diventa amico e protettore. Zanardi è anche l’uomo che, in questi giorni è stato a Roma e ha cercato di portare in Vaticano poco meno di quindicimila firme raccolte attraverso il sito “change.org” per chiedere che il cardinal Domenico Calcagno si astenga dal conclave. Respinto con perdite.

Anche Rebagliati aveva nascosto la testa sotto la sabbia e si era limitato a denunciare al vescovo le azioni di don Nello. Ma, davanti all’inazione della diocesi, neanche lui aveva trovato il coraggio di andare oltre, di dire qualcosa in pubblico, di avvisare i parrocchiani del fatto che in parrocchia si nascondeva un uomo pericolosissimo. E, diventato economo, don Rebagliati si trova davanti ad altre vicende: vicende di soldi, traffici strani, ditte favorite, evasioni fiscali… Di nuovo vicende da nascondere, da spazzare sotto il tappeto.

Finché la stanchezza, il dissidio col suo vescovo, la convinzione di essere stato strumentalizzato, la sensazione di essere vicino alla fine della sua vita, portano don Carlo ad aprire il libro, a lanciare la sua difficile denuncia. Prima, racconta a Marco Preve di Repubblica la sua sconvolgente vicenda di prete malato di Hiv, poi scrive un memoriale in cui racconta i traffici in cui si è trovato coinvolto come economo della diocesi savonese.

Don Rebagliati è morto lo scorso gennaio e intorno alla sua fine si addensa anche qualche dubbio. Ha lasciato delle denunce che la magistratura sta cercando di approfondire ma, soprattutto, ha lasciato, attraverso la sua stessa esistenza, una testimonianza agghiacciante su una diocesi dove tra preti pedofili, uso disinvolto dei soldi e vescovi incapaci di dare risposte chiare, vien fatto di pensare che il demonio si sia dato molto da fare.

Per questo abbiamo intitolato questa inchiesta (che si deve al lavoro di due giovani free lance come Elena Affinito e Giorgio Ragnoli e all’analisi dello stesso Preve) “Il diavolo a Savona”. Per questo abbiamo dato spazio all’appello disperato del parroco di Lavagnola, don Giovanni Lupino, un prete senza scheletri nell’armadio, uno che può permettersi di attaccare frontalmente il suo vescovo e chiedere che le cose cambino, che i nomi dei colpevoli di abusi siano resi tutti noti, che i responsabili e i superiori che hanno nascosto queste storie chiedano scusa.

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