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Regeni, dopo le false piste ora si indaga su poliziotti egiziani

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

A un anno dalla morte di Giulio Regeni la verità sull’uccisione del ricercatore friulano ancora non c’è, ma una serie di dettagli sembrano vicini a far imboccare all’indagine la strada giusta per arrivare a chi ha ucciso Giulio. E per la prima volta sotto indagine finiscono 5 agenti della National Security, la polizia egiziana.

I filoni dell’inchiesta cui lavorano gli inquirenti italiani ed egiziani sono due: da una parte accertamenti su due agenti e un colonnello della polizia egiziana, che ritrovarono i documenti di Giulio durante la perquisizione in casa di uno dei cinque criminali uccisi in una sparatoria; dall’altra verifiche e analisi dei verbali dei due ufficiali che pedinarono Giulio per giorni tra dicembre e gennaio dopo la denuncia arrivata da Mohamed Abdallah, il sindacalista degli ambulanti che Giulio aveva conosciuto per i suoi studi. Pedinamenti che si sono protratti per qualche settimana, e non, come inizialmente detto dagli inquirenti egiziani, per soli tre giorni.

Nei punti di contatto tra queste due piste è celata la chiave di volta per capire chi ha sequestrato e torturato Giulio prima di ucciderlo.

 Il video diffuso ieri, e che gli inquirenti italiani avevano ricevuto dai colleghi cairoti nel dicembre scorso, ha fatto fare alle indagini un decisivo passo e evidenziato un aspetto che in Egitto inizialmente si rifiutava di prendere in considerazione: Giulio è morto per gli studi che faceva, per quella ricerca sul campo che lo ha messo in contatto con persone che ne hanno segnato il tragico destino.

Il passo non è piccolo se si pensa alle ricostruzioni arrivate dall’Egitto nei primi mesi dopo la morte del giovane: prima si parlò di un incidente stradale, poi di una rapina finita male, con il passare delle settimane si insinuò che il giovane fosse stato ucciso perché ritenuto una spia, poi che fosse finito in un giro di spaccio di droga, di festini gay, di malaffare che l’aveva portato a farsi dei nemici.

A un mese dalla morte di Giulio alcuni testimoniarono di averlo visto litigare con un vicino che gli aveva giurato morte.

Il 24 marzo dello scorso anno arrivò l’ennesima ricostruzione poco credibile e questa volta c’erano di mezzo cinque morti: criminali comuni uccisi in una sparatoria con la polizia, alla periferia del Cairo. I documenti di Giulio furono trovati quello stesso giorno in casa della sorella del capo della presunta banda e si disse che i cinque erano legati alla morte del giovane.

FREQUENTI CONTATTI. L’analisi dei tabulati telefonici nell’ambito dell’inchiesta sulla morte di Regeni conferma i frequenti contatti tra Mohamed Abdallah, il sindacalista che denunciò Giulio Regeni, e la National security, la polizia egiziana.

Secondo le analisi sui tabulati, Abdallah è stato chiamato con certezza dai telefoni della National security l’8, l’11 e il 14 gennaio dello scorso anno, pochi giorni prima della scomparsa di Giulio.
 

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