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Renzi a Torino: Generazione Lingotto non si distrugge

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La ‘remuntada’ di Matteo Renzi è appena cominciata e, a differenza del Barcellona, non basteranno certo i sei minuti finali di una partita per compiersi. In tre giorni a Torino l’ex segretario prova a risorgere dopo l’addio di Bersani e Speranza. Il Pd renziano è già oltre gli scissionisti. E’ la ‘generazione Lingotto‘ quella da cui parte il candidato segretario. Segno che una stagione è finita e ne comincia un’altra. Cinquemila persone riunite nel Padiglione 1: Millenials, signore e signori di mezza età, anziani e amministratori quarantenni. A loro si appella Renzi. Sono quelli che hanno lasciato senza rimpianti le vecchie appartenenze a Ds e Margherita o coloro la cui prima tessera è stata quella arancione dei Gd e del Pd nel 2007. Perché “diversi e uniti” è possibile, come sostiene Maurizio Martina, l’altra metà del ticket. I nuovi esponenti di questo Pd vanno da Teresa Bellanova a Graziano Delrio, da Marco Minnniti a Claudio De Vincenti, passando per Pier Carlo Padoan e Marianna Madia: tutti hanno preso la parola. In platea c’è anche il premier Paolo Gentiloni. Sul palco passano poi gli esponenti della società civile.
Dal reggente del Cottolengo don Andrea Bonsignori all’imprenditore nel mirino della ‘ndragheta Vincenzo Linarello, quindi Recalcati, Tommaso Nugnes, fino a Sergio Chiamparino che addirittura rivendica la bontà del “PdR” (Partito democratico renziano) perché “con l’identificazione tra Pd e Pdr si è creato un bene cioè un’identità riformatrice che è diversa dall’autoreferenzialità”.

Se Walter Veltroni dieci anni fa aveva dato vita al Pd per superare la frammentazione del centro sinistra, oggi paradossalmente si fanno i conti con quella suddivisione mai del tutto risolta per ripartire da un’identità comune. “Oggettivamente qualcuno nelle ultime settimane ha cercato di distruggere il Pd – dice Renzi -, ma l’elemento chiave è che qui c’è un popolo che ha dei valori e che non si fa distruggere da niente e da nessuno”. Nel mirino c’è Massimo D’Alema. “Sento parlare di Ulivo da chi è più esperto di Xylella”, è al vetriolo la battuta che fa arrabbiare Michele Emiliano che accusa Renzi di “sbeffeggiare” la Puglia e il Sud. Ma la critica ha un destinatario preciso: “Parla di Ulivo chi ha contribuito a segarlo da dentro e ha fatto concludere l’esperienza di Romano Prodi. E se lui fosse stato capo del partito non sarebbe accaduto”. Renzi non è clemente neppure con la minoranza confluita nel Movimento Democratici Progressisti. “Essere di sinistra – evidenzia – non significa rincorrere i dogmi del passato. Lo diciamo a chi pensa che essere di sinistra sia salire su un palco, alzare il pugno e cantare ‘Bandiera rossa’”. Il riferimento è alla kermesse proto-scissione che ha visto assieme Enrico Rossi, Roberto Speranza e lo stesso Emiliano. “Non è con l’amarcord che si difendono i diritti dei più deboli – attacca Renzi – quella è un’immagine da macchietta non da politica”. Immediata la replica di Speranza: “A Lingotto ci insultano, ma noi siamo contro il PdR e vogliamo dare casa a quei milioni di elettori delusi”. Ma l’ex premier non molla e porta fino in fondo la critica al pensiero che ritiene di avere “l’esclusiva della sinistra”. “Se la Fiat di Marchionne ha stabilimenti in Italia, non è una vittoria del capitalismo – sostiene -, ma vuol dire che ci sono donne e uomini che sono tornati in fabbrica. E io difendo chi crea lavoro”. Renzi come Matteo Orfini e Debora Serracchiani rivendicano: “La sinistra è qui, siamo noi”. Applausi scroscianti dalla platea.

Il ticket Renzi-Martina prende forma. Non un partito di “spifferi e correnti”, ma un nuovo modello in cui dall’io si passi al ‘noi’. Il Pd “ha bisogno di più leader non di meno leader” perché l’idea di essere un partito senza leadership è “un modello culturale sbagliato”. Alle parole dell’ex segretario fanno eco quelle di Graziano Delrio che la butta sulla metafora calcistica: “Il nostro partito non ha paura della leadership. Il Napoli non ha avuto paura di prendere Maradona. Certo, vengono prima i valori, ma senza Maradona non si vince”. Per fare un partito però, anzi, per riformarlo, oltre al “popolo democratico” c’è bisogno di una nuova classe dirigente. Ed ecco la “generazione Lingotto” declinata in chiave partitica. Renzi si appella ai quarantenni. “Il ticket con Martina non è solo una scelta coreografica legata a Lingotto ’17. Dico ai parlamentari, ai sindaci, ai presidenti di Regione e di provincia: tirate fuori la vostra grinta”. La squadra che si presenta con la mozione renziana è composta da Maurizio Martina, Matteo Ricci, Matteo Orfini, Giuseppe Falcomatà, Dario Nardella, Andrea Rossi, Andrea Gnassi, Stefano Bonaccini, Bussolati. Si delinea lo scheletro di una nuova classe dirigente giovane, ma non alla prima esperienza politica. Non l’uomo solo al comando, ma una squadra con un allineamento più a sinistra. In questo senso la scelta di ripartire dall’ex città operaia Torino, le citazioni di Gramsci e dei fratelli Cervi fatte da Martina e il concetto gramsciano di ‘egemonia culturale’, richiamato da Renzi e Chiamparino.

C’è poi il fattore ‘tempo’. Dalla tre giorni del Lingotto emerge chiaramente che la “sfida è rivendicare il domani”. Non ci si rassegna “a un ritorno fuori tempo massimo alle antiche case madri”, non si riavvolge il nastro della storia e non si torna al tema delle “vecchie provenienze” ma “la nuova appartenenza comune”. “Noi – sottolinea il ministro Martina – siamo oltre la fusione a freddo, oltre il partito che torna ad avere il trattino”. Obiettivo: portare a termine il progetto del Partito Democratico. Quindi via libera all’apporto di ciascuno. Dal palco ogni ministro dice la sua. Marianna Madia chiede che la mozione si soffermi sul “mentre” vale ai dire sui bisogni dei cittadini in quel lasso di tempo che intercorre tra il momento in cui una riforma viene fatta e quando cominciano i suoi effetti e chiede un reddito per chi non ha lavoro. Idea non proprio renzianissima, ma tant’è: anche nella mozione renziana le sensibilità sono differenti. Padoan si sofferma sull’Europa e Boschi sulle donne. Ma la novità del Lingotto’17 è che tutti potranno contribuire al nuovo Pd a vocazione maggioritaria attraverso una piattaforma online che si chiama ‘Bob’, in onore di Bob Kennedy e in contrapposizione a Rousseau del M5S. Non solo. Per coltivare la “Generazione Lingotto” nasce anche una scuola di formazione politica intitolata a Pier Paolo Pasolini, in cui 200 giovani si formeranno per 900 giorni – non è chiaro se a titolo gratuito o meno – alla nuova “Frattocchie 2.0”. Da verificare cosa resterà dopo le primarie del 30 aprile.

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