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Roma si mobilita per la Casa delle donne: “Non deve chiudere”

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Non è ancora certo il destino della Casa Internazionale delle Donne, storica sede di associazioni delle donne e dei movimenti femministi in via della Lungara a Roma, dopo che la scorsa settimana l’Assemblea capitolina ha votato una mozione per “riallineare e promuovere il progetto alle moderne esigenze dell’amministrazione e della cittadinanza”.

La proposta, di cui la consigliera M5S Gemma Guerini è la prima firmataria, intenderebbe trasformare la struttura in un centro di coordinamento gestito da Roma Capitale, con cui le associazioni di settore potranno collaborare tramite dei bandi. Tuttavia, secondo i diretti interessati, se non si riuscisse a trovare una mediazione, la scelta del comune rischia di porre fine a una delle principali esperienze di servizi di assistenza rivolti alle donne nella capitale.

La senatrice di Liberi e Uguali Loredana De Petris ha annunciato la presentazione di una mozione a Palazzo Madama con una raccolta firme in difesa della Casa. “Ritengo molto grave la mozione approvata in consiglio comunale che ignora la storia, il lavoro e le iniziative fatte dalla Casa in più di trent’anni di lavoro”, ha dichiarato durante una conferenza stampa lunedì mattina.

“Nessuna chiusura, nessuna guerra alle donne”, assicura il Movimento 5 Stelle. Il capogruppo in Campidoglio Paolo Ferrara spiega che il progetto della Casa delle donne sarà al contrario rafforzato. “Chi parla di chiusura diffonde notizie false e pretestuose cercando di generare ingiustificato allarmismo e offendendo i tanti cittadini che tengono, insieme all’amministrazione, a questo importante progetto del Comune”.

La Casa è nata nel 1987, quando il Movimento Femminista Romano, dopo lo sfratto da Palazzo Nardini in Via del Governo Vecchio, si è trasferito nell’attuale sede occupando il complesso noto come ‘Buon Pastore’, fin dal Seicento adibito a reclusorio femminile. Negli anni si sono sviluppati progetti a sostegno delle donne vittime di violenze, tra cui un consultorio e un centro antiviolenza, ma anche progetti culturali, ricreativi e di discussione politica. Nel 1992 è arrivata l’autorizzazione a utilizzare il patrimonio comunale. Ora sulla Casa pende un debito di 833mila euro per l’utilizzo dello stabile, che a novembre 2017 l’amministrazione comunale ha chiesto di saldare.

Francesca Kock, presidentessa della Casa, propone una rateizzazione di quanto deve ancora essere pagato, “riconoscendo le spese che abbiamo finora sostenuto, e che la giunta si avvalga della nuova legge di riforma sul terzo settore per concedere in comodato gratuito la struttura”. Secondo Koch, che insieme al gruppo direttivo della casa valuta in 535mila euro quanto finora erogato in servizi e iniziative, “non è possibile comprendere il valore della Casa se si rimane solo sul piano amministrativo. Non è solo un luogo di servizi e di cultura: è il cuore delle realtà che si riconoscono nel femminismo e che hanno costruito nel femminismo una pratica politica”. Per questo “stiamo sollecitando l’amministrazione comunale dal 2010 per chiedere una revisione degli accordi e del debito. Con la giunta Alemanno, che aveva riconosciuto le nostre esigenze, avevamo avuto una proroga della convenzione di altri sei anni, fino al 2021. Con la giunta Marino avevamo ricevuto una grande attenzione: la Casa era stata riconosciuta come una risorsa ma, a causa della caduta della giunta, il percorso individuato non è stato portato avanti”.

La Casa delle donne “non deve chiudere”, avverte Walter Veltroni, che in un tweet ha ricordato che “generazioni di donne hanno vissuto lì la battaglia politica per affermare i propri diritti”.

Vicinanza alla Casa è stata espressa dalla senatrice del Partito democratico Monica Cirinnà, che attacca Virginia Raggi. “Che la prima sindaca donna punti a distruggere tutto questo è indegno del ruolo istituzionale che ricopre”, ha dichiarato, “mi batterò in Senato e fuori insieme a tutte le donne e gli uomini che non possono accettare un simile passo indietro culturale, sociale e civile”. Solidale con il ‘Buon Pastore’ è anche il consigliere comunale Stefano Fassina, secondo cui si rischia di “desertificare un pezzo di welfare di questa città”. 

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