Migliaia di foto di ragazzi e bambini e video di abusi, anche su neonati. Per il possesso di questo materiale pedopornografico e per la sua produzione sono state indagate 16 persone in tutta Italia, di cui 6 arrestate in flagranza di reato.
La Polizia Postale di Torino, coordinata dalla locale Procura della Repubblica, a seguito di un attento monitoraggio della rete, ha individuato la presenza di alcuni gruppi sospetti. All’esito dell’attività investigativa, associati dei volti ai singoli nickname oggetto di indagine, è stato possibile smascherarli procedendo direttamente, su delega della Procura della Repubblica di Torino, alle perquisizioni.
Gli investigatori hanno scrupolosamente analizzato le tracce informatiche relative alle condivisioni del materiale da parte dei partecipanti alle ‘stanze’ virtuali. I 16 indagati sono residenti in diverse zone d’Italia, motivo per cui all’operazione, iniziata all’alba, hanno partecipato, oltre a quello di Torino, altri 10 Uffici di Polizia Postale dislocati su tutto il territorio nazionale. Le perquisizioni locali e informatiche hanno portato al rinvenimento e sequestro di un ingente quantitativo di materiale pedopornografico, per il quale si ipotizza in alcuni casi anche l’autoproduzione mediante la consumazione di rapporti sessuali con minori, “ma sul punto – specifica la questura di Torino in una nota – sono ancora in corso attività d’indagine”. Le persone perquisite sono tutte italiane, esattamente come era italiana la lingua utilizzata nei commenti alle immagini pubblicate.
L’attività di osservazione e di raccolta degli elementi probatori “è stata molto lunga soprattutto per le policy del gestore ostile a fornire informazioni sui propri iscritti”, si legge in una nota della questura di Torino. L’indagine ha fatto perno “sulle componenti comportamentali dei vari autori delle condotte delittuose – spiega la Polizia Postale -, nonché sull’attribuzione delle immagini condivise ai diversi profili, in modo da ottenere riscontri dalla successiva attività a carico dei soggetti indagati”.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, i titolari dei profili incriminati avevano tra loro diversi ruoli di responsabilità: dettavano regole che i partecipanti ai gruppi erano obbligati ad osservare. Inoltre si riservavano la potestà di escludere chi non avesse prestato un contributo in termini di materiale condiviso, suddiviso per range di età e sesso dei minori utilizzati per la realizzazione dei video.