Possibile svolta negli equilibri del conflitto in Siria. A seguito dell’annuncio del ritiro degli Usa da parte di Donald Trump, la milizia curda Ypg – temendo un’offensiva della Turchia – si è ritirata da Manbij e ha chiesto alle forze di Bashar Assad di sostituirla. L’esercito siriano è arrivato alle porte della città, dove entrerà per la prima volta da sei anni. La coalizione a guida Usa che gestisce l’area, tuttavia, riferisce che al momento non ha visto alcun cambiamento militare all’interno di Manbij.
Da metà dicembre la Turchia minaccia di lanciare un’offensiva contro le formazioni curde nel nord della Siria, compresa Manbij, vicino alla sua frontiera. A queste minacce, è seguito il 19 dicembre l’annuncio di Trump del ritiro delle truppe Usa dalla Siria, principale sostegno delle forze curde negli ultimi anni, soprattutto nella loro guerra contro l’Isis. Il ritorno degli uomini di Assad nella zona di Manbij per la prima volta da sei anni giunge in un momento in cui il regime ha moltiplicato le vittorie militari, con l’aiuto cruciale dell’alleato russo, e sembra sulla buona strada per rompere il suo isolamento diplomatico.
Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, circa 300 soldati e miliziani pro-regime sono stati dispiegati nei settori a nord e ovest della città, creando una “zona cuscinetto” fra i territori in mano ai ribelli pro Ankara e Manbij. Per Mosca, il dispiegamento dell’esercito siriano nell’area aiuterà a “stabilizzare la situazione”. La questione sarà discussa oggi in un vertice a Mosca dei ministri degli Esteri e della Difesa della Turchia. Poi, all’inizio del 2019, la capitale russa ospiterà un summit che riunirà i presidenti di Russia, Iran e Turchia, rispettivamente Vladimir Putin, Hassan Rohani e Recep Tayyip Erdogan.
Sostenuto militarmente dagli alleati Iran e Russia, il regime di Assad è riuscito a ribaltare la situazione e controlla ormai circa i due terzi del territorio siriano, devastato da una guerra che dal 2011 ha provocato oltre 360mila morti.