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Spagna, anche suore clausura contro sentenza stupro. Migliaia in piazza

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Ancora proteste e indignazione in Spagna per la controversa sentenza del 26 aprile, con cui una Corte della regione di Navarra ha condannato cinque uomini per “abusi sessuali”, ma non per stupro, per avere violentato una 18enne il 7 luglio del 2016 alla festa dei tori di San Firmino a Pamplona. Non solo cortei, ma anche una petizione online con 1,2 milioni di firme per rimuovere i giudici responsabili della decisione. E sulla questione sono intervenute anche delle suore di clausura, che dal monastero in cui vivono nei Paesi Baschi si sono schierate dalla parte della vittima.

Per il terzo giorno consecutivo proteste si sono tenute a Pamplona: fra 32mila e 35mila persone hanno marciato per le vie della città scandendo lo slogan ‘Non è abuso sessuale, è stupro’, rispondendo all’appello del Movimento femminista di Pamplona. Nel giorno in cui la sentenza era stata emessa, cortei si erano tenuti a Barcellona, nella capitale Madrid e anche in altre città della Spagna, compresa Siviglia, città natale dei cinque condannati. Venerdì poi, nel secondo giorno di proteste, i manifestanti si erano radunati davanti alla Corte di Pamplona che ha emesso la sentenza, gridando ‘Non è abuso sessuale, è stupro’, tenendo cartelli sui quali si leggeva ‘Palazzo di ingiustizia’.

Anche le suore di clausura hanno preso la parola sul caso, che ha scatenato in Spagna un dibattito nazionale. Le carmelitane del monastero di Hondarribia nei Paesi Baschi, dove vivono 16 sorelle dell’ordine delle Moniali scalze, hanno scritto un post su Facebook in cui, oltre a schierarsi a difesa della vittima dello stupro, hanno preso le difese di tutte le donne che vivono in modo diverso rispetto a loro. “Noi viviamo in clausura, portiamo un abito che ci arriva quasi alle caviglie, non usciamo la sera (salvo emergenze), non andiamo alle feste, non beviamo alcol e abbiamo fatto voto di castità” ma “dal momento che è una scelta libera, difendiamo con ogni mezzo a nostra disposizione il diritto di tutte le donne a fare LIBERAMENTE il contrario, senza che vengano per questo giudicate, violentate, minacciate, assassinate o umiliate”, recita il post, che cita poi lo slogan usato dai manifestanti nelle proteste: “Sorella, io ti credo”. “Volevamo che ci fosse una voce nella Chiesa che criticasse questa sentenza”, ha spiegato ad AFP suor Mariluz, raggiunta telefonicamente.

Il punto è che in Spagna il reato di “abuso sessuale” implica che non ci sono state “violenza o intimidazione”; ed è stata evitata l’accusa di aggressione sessuale, che comprende i casi di stupro. I cinque uomini, di età compresa fra 27 e 29 anni, sono accusati di avere violentato una ragazza madrilena di 18 anni all’inizio della settimana del festival di San Firmino, all’ingresso di un condominio, dove poi l’avevano lasciata mezza nuda. I cinque avevano anche filmato tutto con gli smartphone, vantandosi poi dei fatti su un gruppo WhatsApp, in cui si riferivano a loro stessi con la parola ‘La Manada’, cioè ‘Il branco’. Ma la difesa aveva sostenuto che la vittima fosse consenziente, evidenziando che prima aveva bevuto della sangria e che nelle immagini non sembrava mai dire ‘no’.

La procura della regione di Navarra ha annunciato venerdì che farà ricorso contro il verdetto e il governo spagnolo, guidato da Mariano Rajoy, sull’onda delle proteste intende valutare l’ipotesi di una riforma del codice penale. Intanto, in appena due giorni, oltre 1,2 milioni di persone hanno già firmato una petizione in cui si chiede alla Corte suprema di revocare i giudici responsabili della decisione. Dal momento che il tribunale della regione di Navarra “conclude che non esistono né violenza né intimidazione, chiedo la revoca dei magistrati che lo compongono”, recita la petizione, scritta da una spagnola di 38 anni. Il testo inoltre lamenta che “ci siano dei giudici e magistrati che ritengono che affinché esista un’aggressione sessuale non sia sufficiente che cinque uomini aggrediscano una giovane senza difese e in stato di ebbrezza abbandonandola poi dopo averle rubato il telefono”.

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