C’è persino qualcuno che si è preso la briga di chiedere a un madrelingua portoghese di tradurre la frase/imprecazione/sibilo che Cristiano Ronaldo ha ‘scagliato’ nei confronti di Maurizio Sarri al minuto 55 della partita contro il Milan, cioè quando si è materializzata la sua sostituzione. La seconda in pochi giorni, perché il ghiaccio era stato rotto a Mosca, in Champions League. Due avvicendamenti e un verosimile ‘vaffa’ hanno trasformato CR7 in un caso, anche se lui ci ha messo del suo per fare in maniera che se ne parlasse: abbastanza stizzito, non ha aspettato nemmeno di festeggiare la vittoria contro i rossoneri, tre minuti prima della fine aveva già imboccato la strada di casa, alla faccia della società, dell’allenatore, dei compagni di squadra. Pure dei tifosi che, però, quando sono innamorati virano sempre verso l’indulgenza.
Ronaldo è stato sostituito perché non era Ronaldo, perchè non stava giocando bene, perché in quel momento andava meglio Paulo Dybala. Il quale, non a caso, l’ha buttata dentro (la palla) e ha riconsegnato la Juventus al primato in classifica. La Juventus, incidentalmente, ha anche scoperto che esiste una vita senza e oltre Ronaldo. E non è roba da poco. Sembra che non stia bene, il fenomeno portoghese. Un problema al ginocchio, un acciacco ai flessori, allenamenti sincopati. Morale: CR7, umanamente, logicamente, si è inceppato. Non è la fine del mondo ma resta comunque una grana da titoloni e da riflessioni più o meno acidule.
Con i padreterni funziona così, che gli sternuti assumono le dimensioni di un ciclone tropicale. Ma alla Juventus per la prima volta si vedono costretti a fare i conti con l’umore malmostoso del giocatore più famoso e più pagato, persino più ingombrante. Qualcosa di diverso dalla mutria di Dybala o dai lamenti di Emre Can, o dalla tristezza di Rugani. Un’esperienza inedita a livello di gestione del gruppo e dello spogliatoio, un passo oltre la logica dell’intoccabilità. Prima di Cristiano era toccato a Del Piero Alessandro, il capitano per eccellenza. Che ci aveva messo un po’ di tempo per farsene una ragione e, forse, non se l’era mai fatta.