Per superare il sistema di Dublino, solidarietà obbligatoria tra Stati membri e allentamento della pressione migratoria sui Paesi costieri. E’ questo, in sintesi, l’obiettivo del nuovo Patto sulle migrazioni e l’asilo presentato dalla Commissione europea, in anticipo di una settimana rispetto alla tabella di marcia iniziale, dopo l’incendio che ha devastato il campo di Moria, a Lesbo, mettendo a nudo le responsabilità di Bruxelles sulla questione migratoria. Il meccanismo, descritto dal vicepresidente della Commissione europea Margaritis Schinas come un edificio a tre piani, si basa su tre pilastri: una procedura di frontiera integrata tra i Paesi membri con screening pre-ingresso, accordi con gli Stati terzi e la scelta tra ricollocamenti e rimpatri. E’ proprio questo ultimo il punto centrale della strategia proposta da Bruxelles. Visto che alcuni Stati “non accetteranno i ricollocamenti” obbligatori, ha detto Schinas, “forniamo loro un’alternativa percorribile” con il finanziamento dei rimpatri, cosiddetti “sponsorizzati”. In sintesi gli Stati dovranno tutti collaborare, facendosi carico della gestione delle migrazioni, in particolare nei momenti di emergenza, ma potranno scegliere come farlo, se puntare sull’accoglienza o sui rimpatri.
Il Patto è “un compromesso” tra posizioni differenti, ha sottolineato Schinas, ma non oltrepassa le “linee rosse” imposte dai vari Stati membri. Un passo necessario per superare i regolamenti di Dublino che non sono più uno strumento “valido”, ha aggiunto. La presidente della Commissione Ue, Ursula Von der Leyen, ha presentato il piano con entusiasmo, definendolo un “nuovo inizio” per l’Europa che permetterà di conciliare interessi divergenti e legittimi, trovando un equilibrio tra “responsabilità e solidarietà”. Sappiamo di dover “ricostruire la fiducia tra gli Stati e i cittadini” nella nostra capacità di gestire i flussi come Unione, “l’Ue ha già dato prova in altre aree di essere capace di conciliare prospettive diverse”, ha detto von der Leyen, riferendosi al Recovery fund, dopo che ha fatto della riforma del sistema Dublino uno dei punti chiave del suo mandato.
Il patto prevede inoltre una “procedura di frontiera integrata”, che comprende uno screening pre-ingresso che copre l’identificazione di tutte le persone che attraversano le frontiere esterne dell’Ue senza autorizzazione o sbarcate dopo un’operazione di ricerca e salvataggio. Ciò comporterà anche un controllo sanitario e di sicurezza, il rilevamento delle impronte digitali e la registrazione nella banca dati Eurodac. Dopo lo screening, le persone saranno indirizzate verso la giusta procedura che dovrà essere rapida e snella per evitare lunghe permanenze dei migranti negli hotspot. Si dovrà procedere rapidamente anche ai rimpatri: “E’ importante che la decisione avvenga nel giro di 12 settimane”, ha detto la commissaria Ue Ylva Johansson “si verrà rimpatriati se si arriva nell’Ue senza il diritto di restarci, è questo che i cittadini ci chiedono”.
Ora il testo passerà al vaglio del Parlamento europeo e del Consiglio a cui spetterà il compito di adottare un’intera serie di leggi necessarie per realizzare una politica comune. Intanto sono arrivate le prime reazioni dagli Stati membri. Approvazione dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, che ha definito il patto “un passo importante” e ha ribadito la necessità di “certezza su rimpatri e ridistribuzioni”. Più dure Ungheria e Repubblica Ceca. Mentre Budapest ha insistito sull’importanza di mantenere sigillate le frontiere, Praga ha messo in chiaro che non accetterà ricollocamenti obbligatori. Di tutt’altro avviso le ong. Per Oxfam la riforma è “un nuovo passo falso nella direzione sbagliata”, in quanto non mette al centro la tutela dei diritti fondamentali dei migranti e non offre sicurezza “a chi fugge da guerre e persecuzioni”.