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Al ristorante in “bermuda”, cacciato il sindaco di Viareggio

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Fatto uscire dal ristorante perché l’abbigliamento – camicia e bermuda – non era consono. Succede in alcuni locali dove le regole impongono di indossare pantaloni lunghi. E nessuno si meraviglia. Ma quando capita a un sindaco, per di più nella sua città, in una calda sera d’estate, diventa notizia. E’ accaduto ieri al primo cittadino di Viareggio (Lucca), Giorgio Del Ghingaro (ex Pd, leader della lista civica “Buon Vento”, nella foto), che ha raccontato l’episodio sul proprio profilo Facebook. “Stasera – scrive – sono stato cortesemente invitato ad uscire da un locale. Un’esperienza un po’ umiliante vi confesso, ma parto dal concetto che tutto fa cultura e serve a dare e darsi le misure del vivere nella società”.

Del Ghingaro racconta di aver concordato una cena con una coppia di amici e di aver fissato “in un ristorante dove vado ogni tanto e, visto che non è una cena istituzionale ma tra veri amici, mi sento libero di vestirmi casual”. Dopo essersi accomodati a un tavolo sulla terrazza, un cameriere si avvicina al primo cittadino di Viareggio e “imbarazzato mi comunica che, considerato che non indosso pantaloni lunghi, non posso stare in quel locale”. A nulla valgono le spiegazioni del sindaco, che afferma di non aver mai saputo le regole del locale e che si trova “in libera uscita, che anch’io sono una persona normale, con una vita normale, con dei vestiti normali”. il cameriere prende tempo “ma dopo pochi minuti – prosegue Del Ghingaro – ritorna e mi chiede gentilmente di uscire, perché le regole di quel locale sono quelle anche se non conosciute né illustrate all’ingresso, si scusa ma non può fare diversamente”. e “a quel punto non mi rimane che alzarmi, salutare le persone stupite al tavolo vicino, chiedere scusa ai miei amici e uscire, non senza vergogna”

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Il sindaco aggiunge: “Non sapevo che esistessero regole così ferree d’agosto in un locale sul porto, ma giustamente l’ignoranza non è ammessa e non posso che prendere atto che in quel posto ci si deve andare con i pantaloni lunghi, anche se continuo a chiedermi come una persona può saperlo se nessuno glielo dice o lo scrive all’ingresso. Al di là dell’episodio, spiacevole e, confesso, anche sgradevole, alla fine ho cenato bene da un’altra parte (molto bene), in ottima compagnia, senza censure sui vestiti, anche se con la brutta sensazione di aver subito una piccola violenza”. La vicenda spinge, infine, Del Ghingaro a una riflessione finale: “Mi sono fatto una domanda: ma in quel locale controlleranno oltre ai vestiti, il casellario giudiziale, il permesso di soggiorno, il codice fiscale, il certificato di sana e robusta costituzione, il tesserino di pesca, il colore della pelle, la tessera di partito, l’attestato di laurea, etc etc? Boh, giuro che la prossima volta (non certamente lì, garantisco) m’informerò prima d’entrare”

 

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