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Alessandro D’Avenia: Do del tu a Leopardi per il futuro dei ragazzi

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

Il prof più amato d’Italia dà del tu a Giacomo Leopardi per provare a trasformare la fragilità in un’occasione di felicità. A partire dall’adolescenza, il momento chiave di ogni vita durante il quale si intuisce il proprio destino. In questo viaggio Alessandro D’Avenia si fa accompagnare da un Virgilio inaspettato, il poeta abitualmente (e frettolosamente) associato al pessimismo e alla solitudine. Nel suo ultimo libro, “L’arte di essere fragili” (Mondadori), il 39enne scrittore e insegnante di lettere, autore di best seller come “Bianca come il latte, rossa come il sangue”, ribalta molti luoghi comuni del genio di Recanati: “Fu un cacciatore di bellezza, intesa come pienezza che si mostra nelle cose”, sottolinea D’Avenia che spiega: “Non volevo scrivere un libro su Leopardi ma con Leopardi, alla fine è nato un epistolario con il mio amico Giacomo”.

Perché proprio Leopardi?
“Nel 1817 immaginava una lettera a un giovane del ventesimo secolo, io sono nato esattamente 150 anni dopo e ho pensato che questa cosa forse mi riguardava. E allora ho costruito una biografia universale con le parole di Leopardi divisa in quattro parti: l’adolescenza come arte di sperare, la maturità come arte di morire, la riparazione come arte di essere fragili e il morire come arte di rinascere. Forse proprio Leopardi ci può insegnare il segreto di una qualche felicità e salvarci la vita. Oggi noi parliamo di salvezza solo quando dobbiamo salvare un file o quando la nostra squadra rischia di andare in serie B, e invece c’è una salvezza più grande che è fatta del trasformare ogni istante della nostra vita in un istante felice”.

Cos’è il rapimento di cui parla nel libro?
“Leopardi si mise in gioco a 19 anni quando decise di diventare poeta subito, senza lasciare passare il suo ardore giovanile. Due anni dopo ha scritto “L’Infinito”. E allora ai ragazzi oggi c’è da chiedere: a 21 anni avete trovato il vostro fuoco? E cioè quel rapimento che nella vita li condurrà alla fioritura della propria esistenza. Io ho avuto tre rapimenti: quando una sera in tv ho visto Robin Williams parlare di letteratura ai suoi alunni; il giorno in cui il mio professore di lettere mi ha prestato il suo libro di poesie preferito vedendo in me la passione e lì sono diventato insegnante. Il terzo rapimento fu quando al quarto anno di liceo il mio professore di religione, Don Pino Puglisi, venne ucciso dalla mafia anche per le cose che diceva e faceva a scuola”.

Quali sono le paure dei ragazzi che incontra ogni giorno?
“Nei loro volti vedo che questa è l’età dell’ansia. Abbiamo costruito una cultura intera sulla prestazione, a noi oggi interessano i risultati, non le persone. Anche a scuola siamo ossessionati dai programmi e trascuriamo i ragazzi che durante l’adolescenza spesso si sentono persi in partenza se non solo bellissimi, perfetti. E Leopardi anche qui mi viene in aiuto perché ha trasformato, senza alibi, la sua fragilità nella sua grandezza. Io come insegnante sono obbligato a ravvivare quello i ragazzi hanno dentro eliminando la loro disperazione. Non vivo il mio mestiere come una missione perché mi senta investito da chissà cosa, è semplice professionalità. Non mi piace che il fatto di essere appassionato del mio mestiere come ruolo educativo venga preso come idea di missione. È semplicemente il mio lavoro”.

Cosa pensa del nostro sistema scolastico?
“È assolutamente inadeguato ai tempi in cui viviamo. Continua a portare avanti mummie, simulacri che disumanizzano i ragazzi, le famiglie e gli insegnanti. Cambiare è difficile ma in qualche modo bisogna restituire la possibilità di costruire dei percorsi adeguati ai talenti dei ragazzi. Una scuola che dà la stessa minestra a tutti non può funzionare. Noi abbiamo dei curricula ottimi, ma non va bene come arrivano agli alunni. Perché allora non pensare a dei percorsi con alcune materie che un ragazzo può scegliere e altre che siano fisse, in modo che possa equilibrare i suoi punti di forza e i suoi punti deboli. La scuola del futuro è quella che prepara le persone a scoprire la propria vocazione. Io invece vedo ragazzi che sanno mille nozioni e nulla di se stessi. Anche l’ultima riforma non è una riforma scolastica, ma solo degli aggiustamenti organizzativi. Si sono fatti dei passetti avanti mentre altre cose sono molto discutibili. Nel mio percorso di insegnante sono stato verificato solo sulle conoscenze, ma poi in classe quello che conta è l’umano”.

“L’arte di essere fragili” sarà portato anche a teatro con la regia di Gabriele Vacis. Il debutto il 15 novembre al Carcano di Milano.
“Io non sono un attore e dunque non sarà uno spettacolo, ma un racconto, diverso ogni sera. Non ho un testo scritto, faccio una lezione a porte aperte; vorrei che rappresentasse la scuola come potrebbe essere. L’ingresso è gratuito, sul palco ci saranno dei banchi con la gente in sala al posto dei muri della classe. Sarà una scuola senza interrogazioni, senza ansia di prestazione”.

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