La guerra in Ucraina continua a pesare sul quadro macroeconomico italiano, fino a veder ridursi lo scenario di base per la crescita del Pil al 2,6 per cento per il 2022, all’1,6 per cento nel 2023 e all’1,8 nel 2024. Le ultime proiezioni per l’economia italiana di Bankitalia restituiscono un quadro fosco, sul quale incide anche la crescita dell’inflazione.
Dopo essere rimasto pressoché stagnante nel primo trimestre dell’anno, secondo palazzo Koch il Pil italiano “si espanderebbe a ritmi modesti nel trimestre in corso e nella restante parte del 2022, per poi rafforzarsi dall’anno prossimo, in concomitanza con l’attenuazione delle tensioni associate al conflitto in Ucraina e delle pressioni inflazionistiche. Un sostegno considerevole all’attività economica proviene dalla politica di bilancio e dagli interventi delineati nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (Pnrr)”. L’insieme delle misure di aiuto a imprese e famiglie per fronteggiare il rincaro dei beni energetici, quelle introdotte negli anni scorsi e gli interventi del Pnrr possono “innalzare il livello del Pil complessivamente di oltre 3,5 punti percentuali nell’arco del triennio 2022-24, di cui circa due punti riconducibili alle misure delineate nel Pnrr”.
Se dovesse imporsi uno scenario avverso, caratterizzato da un arresto delle forniture a partire dall’estate, Bankitalia ipotizza ricadute dirette che porterebbero la crescita del Pil per il 2022 ad annullarsi, con una riduzione di oltre 1 punto percentuale nel 2023 e un ritorno alla crescita solo nel 2024. Gli effetti più pesanti si vedrebbero “per le attività manifatturiere a più elevata intensità energetica”, con “ulteriori consistenti rialzi nei prezzi delle materie prime, un più deciso rallentamento del commercio estero, un più forte deterioramento dei climi di fiducia e un aumento dell’incertezza”. In tal caso “l’inflazione al consumo subirebbe un netto aumento nel 2022, avvicinandosi all’8,0 per cento, e rimarrebbe elevata anche nel 2023, al 5,5 per cento, per scendere decisamente solo nel 2024”, mentre nello scenario di base “l’inflazione al consumo si collocherebbe al 6,2 per cento nella media di quest’anno, sospinta dagli effetti del forte rincaro dei beni energetici e delle strozzature all’offerta; scenderebbe al 2,7 per cento nel 2023 e al 2,0 per cento nel 2024”.
In questo quadro i consumi delle famiglie “rallenterebbero in misura significativa nell’anno in corso e nella prima metà del prossimo per espandersi a ritmi più sostenuti in seguito, grazie al recupero del potere d’acquisto e alla graduale riduzione dell’incertezza connessa con l’evoluzione del conflitto”. Dietro l’ipotesi di ridimensionamento dell’inflazione c’è la stima che “le pressioni derivanti dall’aumento dei prezzi delle materie prime rientrino progressivamente dal prossimo anno e che, anche a seguito della durata relativamente lunga dei contratti collettivi, l’elevata dinamica dei prezzi venga trasferita lentamente e in misura parziale sul costo del lavoro”. L’inflazione di fondo salirebbe così “in misura limitata riflettendo la graduale accelerazione delle retribuzioni e la riduzione dei margini di capacità inutilizzata”.