A un anno dagli attacchi sulla Rambla di Barcellona e a Cambrils, in cui morirono 16 persone fra cui due italiani, la città catalana si è fermata per commemorare le vittime, ma le divisioni legate alla questione dell’indipendenza della Catalogna si sono manifestate anche nell’ambito delle cerimonie. Contro il re Felipe VI, che era presente a plaza de Catalunya con la regina Letizia e il premier Pedro Sanchez, è comparso su un edificio uno striscione che recitava ‘Il re di Spagna non è benvenuto nei Paesi catalani’. Motivo: la posizione netta che a ottobre scorso il monarca prese contro l’indipendenza della Catalogna.
Le associazioni per le vittime di terrorismo avevano chiesto una tregua nello scontro, ma così non è stato: per non trovarsi a fianco del sovrano, alcune associazioni indipendentiste hanno organizzato un omaggio parallelo alle vittime; mentre i sostenitori dell’unità della Spagna hanno gridato “viva il re” all’arrivo di Felipe VI. “È davvero una vergogna. Alla fine al centro dell’attenzione non sono state le vittime ma altre persone”, ha denunciato ad AFP José Vargas, presidente dell’associazione catalana delle vittime del terrorismo. E in questo clima il premier Sanchez ha insistito, su Twitter, sulla necessità di “unità di tutta la società spagnola” che “ci rende forti davanti al terrorismo e alla barbarie”.
Riferimento alla questione catalana anche sulla Rambla, dove il 17 agosto del 2017 un jihadista alla guida di un van si lanciò sulla folla: in questo luogo simbolico è stato srotolato uno striscione in cui si chiedeva la liberazione dei leader catalani indipendentisti in carcere; è sotto questo striscione che le famiglie delle vittime hanno deposto i fiori, sul mosaico di Joan Miró. Quello che è arrivato forte e chiaro, però, è il messaggio della sindaca Ada Colau, che ha ribadito i valori di accoglienza e diversità. “Un anno fa Barcellona ha subìto uno dei peggiori attacchi della sua storia. Ci hanno ferito profondamente, ma non ci hanno infettato con il loro odio. Siamo una città di pace orgogliosa della nostra diversità”, ha detto.
Il 17 agosto di un anno fa, poco dopo le 16.30, il 22enne marocchino Younes Abouyaaqoub si lanciò sulla folla sulla Rambla al volante di un van, uccidendo 14 persone (fra cui due bambini, un australiano di 7 anni e uno spagnolo di 3 anni, e appunto anche due italiani) e ferendone altre 100 circa. Il terrorista fuggì poi a bordo di un’auto di cui uccise il conducente, ma fu ucciso a sua volta dalla polizia dopo quattro giorni di caccia all’uomo, non lontano da Barcellona. Qualche ora dopo l’attacco sulla Rambla, cinque complici di Abouyaaqoub fecero come lui, falciando dei passanti a Cambrils nella notte fra il 17 e il 18 agosto, prima di attaccarli a coltellate uccidendo una donna.
Questo doppio attentato fu rivendicato dall’Isis, ma gli inquirenti finora non sono riusciti a trovare dei legami fra la cellula di Ripoll, ai piedi dei Pirenei catalani, dove è emerso che un imam ha radicalizzato una decina di giovani di origine marocchina, e ipotetici responsabili all’estero. È venuto fuori che i jihadisti stavano preparando un attacco più grande, da compiere su obiettivi come la Sagrada Familia o lo stadio Camp Nou, ma hanno dovuto cambiare piano all’improvviso dopo l’esplosione accidentale della villa in cui, sempre in Spagna, stavano confezionando esplosivi (in quella esplosione morì l’imam di Ripoll): a quel punto optarono per il furgone sulla folla.