O si trova un accordo migliore sulla Brexit oppure Londra non pagherà il conto d’uscita. È questa la sfida che Boris Johnson lancia all’Ue alla vigilia dell’inizio della corsa vera e propria per la successione a che lo vede frontrunner. Una minaccia che dice di voler attuare se lui, considerato il favorito nella corsa, dovesse effettivamente diventare il nuovo premier del Regno Unito. L’avvertimento lo lancia con un’intervista al Sunday Times, primo intervento pubblico dopo le dimissioni di May venerdì dalla guida del Partito conservatore: “I nostri amici e partner devono capire che terremo i soldi finché non avremo maggiore chiarezza sulla strada da percorrere”, afferma il capofila dei Brexiteers, ex sindaco di Londra ed ex ministro degli Esteri, secondo il quale la sopravvivenza del Partito conservatore dipende dall’uscita dall’Ue entro il 31 ottobre (che è la nuova scadenza massima fissata), con o senza accordo.
L’intesa conclusa fra Londra e Bruxelles, respinta dal Parlamento britannico, prevede che Londra adempia agli impegni presi nell’ambito del bilancio pluriennale in corso, cioè quello 2014-2020, che copre anche il periodo di transizione previsto dall’accordo. Il testo non fornisce cifre del conto di uscita, ma solo un metodo di calcolo: il governo britannico parla però di un ammontare compreso fra 40 e 45 miliardi di euro, cifre non confermate dall’Ue. È questo conto di divorzio che Johnson minaccia di non pagare.
‘Bojo’, questo il soprannome con cui è noto Boris Johnson, 54 anni, uno dei grandi fautori della vittoria della Brexit nel referendum di giugno del 2016, sostiene di essere l’unico che può salvare il Paese dal leader Labour Jeremy Corbyn e da Nigel Farage, leader del Partito della Brexit che ha vinto le europee di maggio nel Regno Unito. Con questa argomentazione tenta di convincere i Tories a sostenere la sua candidatura per la successione a May: sono 11 gli aspiranti alla leadership che hanno espresso pubblicamente la loro intenzione di puntare alla successione e avranno tempo fino alle 17 locali di lunedì per presentare ufficialmente la loro ‘candidatura’.
Uno di loro è il ministro degli Esteri Jeremy Hunt. Lui, che a differenza di Johnson ritiene che provare a ottenere un’uscita dall’Ue senza accordo a ottobre sarebbe “un suicidio politico” per i conservatori, sostiene che – stando a quanto gli avrebbe detto Angela Merkel a margine delle celebrazioni del D-Day – l’Ue sia pronta a rinegoziare. Merkel “ha detto che certamente con un nuovo primo ministro britannico vorremo guardare qualsiasi soluzione avete”, ha dichiarato Hunt a Sky News. Quello che Hunt non precisa, però, è se si riferisca all’accordo di ritiro, legalmente vincolante, che l’Ue ha più volte ribadito che non può essere ridiscusso, oppure alla dichiarazione politica che lo accompagna, sulle relazioni future Regno Unito-Ue post Brexit. Rispondendo ad AFP, un portavoce del governo tedesco si è limitato a ricordare che dopo la riunione straordinaria del Consiglio europeo dell’11 aprile a Bruxelles la cancelliera aveva dichiarato che “l’accordo di uscita si applica e che non sarà cambiato” mentre “potremo certamente discutere delle relazioni future”.