(LaPresse) Braccianti sfruttati, costretti a lavorare per pochi euro dalla mattina alla sera: 16 misure cautelari personali e 10 aziende sottoposte a controllo giudiziario. Tra loro anche la moglie del prefetto Michele Di Bari, originario della provincia di Foggia, a capo del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione al Viminale.
Sottoposte al vaglio degli inquirenti le condizioni di sfruttamento cui erano sottoposti numerosi braccianti extracomunitari provenienti dall’Africa, impiegati a lavorare nelle campagne della Capitanata, tutti “residenti” nella nota baraccopoli di Borgo Mezzanone, ove insiste un accampamento che ospita circa 2000 persone, che vivono in precarie condizioni igienico-sanitarie e in forte stato di bisogno.
La complessa e articolata attività d’indagine, coordinata dalla Procura della Repubblica di Foggia e condotta dai militari del Nucleo Operativo e Radiomobile della Compagnia Carabinieri di Manfredonia e da quelli del Nucleo Ispettorato del Lavoro di Foggia, ha preso le mosse dalla diffusa situazione di illegalità radicata nelle campagne del foggiano, non indifferente ai Carabinieri che quotidianamente svolgono servizi di controllo del territorio in quell’area.
Si dimette capo immigrazione Viminale
Il Capo Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione, Michele di Bari, a seguito di un’inchiesta riguardante la consorte, ha rassegnato le proprie dimissioni dall’incarico. Lo comunica il ministero dell’Interno in una nota. Il ministro dell’Interno, Luciana Lamorgese, ha accettato le dimissioni del prefetto.
Coinvolte 10 aziende agricole
Sono 10 le aziende coinvolte nel blitz anticaporalato a Manfredonia, in provincia di Foggia, con un volume d’aggari di 5 milioni di euro. Sono 16 in totale gli indagati di cui 2 in carcere, 3 agli arresti domiciliari e 11 sottoposti all’obbligo di dimora e di presentazione alla polizia giudiziaria.
A tutti vengono contestato – a vario titolo – l’intermediazione illecita e lo sfruttamento del lavoro, poiché ritenuti intermediatori illeciti e reclutatori della forza lavoro, utilizzatori della manodopera, addetti al controllo sui campi dei braccianti, in concorso. Secondo le accuse, assumevano, utilizzavano o comunque impiegavano manodopera costituita da decine di lavoratori africani, allo scopo di destinarla alla coltivazione di terreni agricoli di proprietà, o comunque nella disponibilità delle suddette imprese e società, sottoponendo i predetti lavoratori a condizioni di sfruttamento e approfittando del loro stato di bisogno derivante dalle condizioni di vita precarie e dalla circostanza che essi dimorano presso baracche e ruderi fatiscenti all’interno della zona denominata ‘ex pista’ di Borgo Mezzanone.
I braccianti pagavano per il trasporto e l’intermediazione un ‘caporale’, identificato come un gambiano di 33 anni. È quanto emerso dalle indagini dei carabinieri di Foggia che hanno portato a un blitz anticaporalato a Manfredonia. L’uomo si occupava di portare ai campi i braccianti che vivevano all’iall’interno della “ex pista” di Borgo Mezzanone, in “pessime condizioni igienico sanitarie”.
Le indagini dei carabinieri hanno evidenziato che il gambiano di 33 anni, identificato come ‘caporale’, si faceva aiutare in gran parte delle sue attività da un 32enne senegalese, anch’egli domiciliato nell’ex pista. Era il gambiano l’anello di congiunzione tra i rappresentanti delle varie aziende agricole operanti nel territorio nel settore agricolo e i braccianti. Alla richiesta di forza lavoro avanzata dalle aziende, i due extracomunitari si attivavano e reclutavano i braccianti all’interno della baraccopoli.
È stato inoltre accertato che il principale dei due reclutatori si occupava anche di dare specifiche direttive ai braccianti sulle modalità di comportamento in caso di accesso ispettivo da parte dei Carabinieri.