Il Senato solleva il conflitto di attribuzione alla Consulta sull’operato dei pm di Firenze nell’inchiesta sulla fondazione Open. Matteo Renzi mette a segno un colpo importante nel suo braccio di ferro con la magistratura toscana, con il consenso dell’aula di Palazzo Madama: 167 voti a favore, praticamente la maggioranza assoluta, e 76 contrari (M5S e Leu) alla proposta della relatrice della giunta per le immunità, la forzista Fiammetta Modena. Sarà, dunque, la Consulta a sciogliere il nodo se mail e chat private allegati ai fascicoli di indagine siano o meno violazione delle prerogative di un parlamentare. Intanto il leader di Iv si prende la scena anche tra i colleghi, ai quali si rivolge quasi in maniera diretta: “Chi in quest’aula dice che siamo in presenza del tentativo di un senatore di allontanarsi dal suo processo, mente sapendo di mentire. Non cambia niente nel processo che mi riguarda. Su questo tema si gioca una battaglia di civiltà giuridica e di dignità politica: non parliamo di Leopolda, ma del Parlamento. Non parliamo di fondazione ma di Costituzione”.
L’ex premier ripercorre alcune tappe, anche dolorose, di questo percorso: “La mia vita privata, personale, familiare, con tutto ciò che questo comporta, è stata messa in pasto a una clamorosa campagna non soltanto di stampa”. Poi affonda: “Dal conto corrente privato fino a una lettera che ricevi da tuo padre, con considerazioni di natura personale: quella è una sfera davanti alla quale se c’è un reato si persegue, ma se è di intimità familiare non è consentito a nessuno violentare le vite delle altre persone”. Con l’augurio “che non accada a voi ciò che è accaduto a me”. Sul piano giudiziario, invece, Renzi gioca la carta della Cassazione: “I documenti sono stati acquisiti illegittimamente dai pm fiorentini, lo dicono ben cinque sentenze, un inedito”. Ma il fondatore di Italia viva respinge le accuse di voler portare un attacco alla magistratura: “Si vergogni chi lo pensa, chiediamo solo che la politica faccia i conti con la realtà”, dice in aula.
Le sue parole alla fine si rivelano convincenti. Al punto che l’area progressista si divide, con il Partito democratico che vota a favore di un pronunciamento della Consulta, mentre il M5S e Leu si schierano apertamente per il no. “Chiedere alla Corte di definire un preciso orientamento in proposito non è né una mancanza di rispetto per l’indipendenza della magistratura”, sostiene in aula il dem Parrini. All’opposto la capogruppo Cinquestelle, Mariolina Castellone: “Non consideriamo sufficienti gli elementi a disposizione per ritenere che il conflitto possa essere sollevato”, dice nel suo intervento, ricordando l’importanza del “rapporto tra etica e politica”. Per il sì al conflitto di attribuzioni votano anche Lega, Forza Italia e FdI: “Da Renzi mi separa se non tutto, tantissimo, però non lo combatterò mai a colpi di magistratura”, puntualizza Matteo Salvini.
Ora la partita torna nelle aule giudiziarie. Il 4 aprile, infatti, si aprirà l’udienza davanti al giudice per le indagini preliminari del tribunale di Firenze, dopo che la procura del capoluogo toscano ha chiesto il rinvio a giudizio per Renzi e altre dieci persone, tra le quali figurano la capogruppo di Iv alla Camera, Maria Elena Boschi, il deputato Pd, Luca Lotti, l’ex presidente della fondazione Open, Alberto Bianchi, l’imprenditore, Marco Carrai, e Patrizio Donnini, Alfonso Toto, Riccardo Maestrelli, Carmine Ansalone, Giovanni Caruci e Pietro Di Lorenzo.