Da un punto di vista puramente economico la Catalogna potrebbe reggersi sulle proprie gambe, ma per farlo avrebbe bisogno di restare nell’Unione europea. Uno scenario più che improbabile, se si considerano l’attuale quadro giuridico e i rapporti esistenti tra Spagna e Ue. A spiegarlo, in un’intervista a LaPresse, è Carlo Altomonte, docente della Bocconi del dipartimento di Analisi delle Politiche e Management dell’Università Bocconi.
“La Catalogna vive della sua capacità di restare integrata a livello globale, che al momento le viene data dalla sua partecipazione alla Spagna e della Spagna all’Unione europea”, spiega il professore, che ritiene “difficile immaginare almeno nel breve periodo un modello di autonomia economica” al di fuori del blocco. D’altra parte, ragiona Altomonte, è ancora più difficile pensare che Bruxelles possa dare uno schiaffo a Madrid ammettendo tra i suoi membri una regione secessionista.
La richiesta di indipendenza della Catalogna è sostenibile economicamente?
“Economicamente certamente sì. La Catalogna è grande quanto il Portogallo e ha un’economia che presenta un surplus commerciale positivo, quindi esporta più di quello che importa. Bisognerà però valutare il punto di vista giuridico, perché tu sei integrato nella misura in cui il tuo Paese ha rapporti con gli altri: lo vediamo nel caso della Brexit. E al momento la Catalogna non è sicuramente riconosciuta come entità in grado di stabilire rapporti commerciali con altri Paesi.
Il problema sarebbe allora quello di una “secessione obbligata” dall’Unione europea, che non farebbe uno sgarro simile alla Spagna?
“Assolutamente, perché l’Ue riceve il suo fondamento di legittimità da Stati sovrani, e per questo unitari. Diventa molto complicato immaginare che singoli pezzi di Stati possano poi rivendicare sovranità all’interno dell’Unione, almeno per come sono scritti oggi i trattati.
Uno scenario molto diverso da quello che interessa la Scozia?
“Quella della Scozia è un’economia basata su risorse naturali, in particolare il petrolio, con una manifattura relativamente integrata a livello globale. Quindi, a livello teorico e a certe condizioni, potrebbe immaginare di avere un iniziale percorso di autosostenibilità. Per la Catalogna è più difficile, perché i suoi fattori di competitività sono legati al turismo, che presuppone libera circolazione delle persone, ai servizi e alla proprietà intellettuale, che presuppongono una serie di accordi di tutela, e soprattutto alla manifattura, che presuppone l’integrazione commerciale.”
Rispetto a quello spagnolo, nel 2016 il Pil della Catalogna è cresciuto di più: 3,5% contro 3,2%. Chi ci perderebbe di più nel quadro di una scissione?
“La Catalogna è il motore della Spagna, ma quanta della capacità di fare da motore capitalizza sul fatto che esiste un mercato interno dietro? Certo, è vero che la produttività catalana è superiore alla media del resto del Paese e che si pone un problema di redistribuire i guadagni. La Catalogna trasferisce risorse verso il governo centrale di Madrid, e forse questa ridistribuzione oggi è eccessiva. Il vero punto politico, secondo me, è quello di crearsi come in una partita di poker delle posizioni negoziali per le quali andare a estrarre concessioni economiche maggiori in termini di ridistribuzione delle risorse.
In termini di infrastrutture e forniture, invece, la Catalogna non dipende dalla Spagna?
“Dipende dalla Spagna come dipende dal resto d’Europa: sono economie molto integrate a livello di produzione globale. O ipotizziamo che l’Europa riconosca la Catalogna contro il governo spagnolo, cosa che non succederà mai, oppure la Catalogna da sola resterebbe isolata. E probabilmente tutta la sua capacità di fare business verrebbe meno”.