E’ alta la pressione sul governatore catalano Carles Puigdemont, mentre si avvicina la scadenza di lunedì 16 entro cui Madrid attende la sua risposta alla richiesta di chiarimento formale. L’esecutivo del premier Mariano Rajoy ha fatto una domanda “chiara” al presidente della Generalitat, ha detto la vice premier Soraya Saenz de Santamaria: deve precisare “se abbia o meno dichiarato l’indipendenza“, la risposta è “semplice” perché deve dire sì o no. Il 10 ottobre Puigdemont al Parlament locale ha annunciato la proclamazione dell’indipendenza della Catalogna, sancendone contestualmente la sospensione per poter dialogare con il governo centrale. Se è stato un tentativo di prender tempo e negoziare con Madrid, non ha funzionato, e ora il conto alla rovescia non si ferma.
Puigdemont ha fatto già i conti con la pressione popolare, quando manifestazioni di segno opposto si sono avvicendate nelle strade di Barcellona, Madrid e altre grandi città per chiedere di volta in volta l’unità nazionale, l’indipendenza subito, il dialogo. Dalla stessa Catalogna premono poi sul governatore i movimenti indipendentisti. Il partito di sinistra Cup gli ha scritto una lettera aperta per chiedere sia dichiarata subito l’indipendenza, senza attendere che Madrid possa attivare l’articolo 155 della Costituzione che ‘sospenderebbe’ i poteri delle autorità locali, per costringerle a obbedire e rimettersi ‘in riga’. “Se pretendono di continuare ad applicare” quel che prevede “l’articolo 155 della Costituzione spagnola e vogliono continuare a minacciarci e imbavagliarci, che lo facciano con la Repubblica proclamata”, afferma la lettera. Sulla stessa linea l’organizzazione Assamblea Nacional Catalana (Anc): di fronte al “no dello Stato spagnolo a qualsiasi proposta di dialogo”, “non ha nessun senso mantenere sospesa la dichiarazione d’indipendenza”.
Dall’altra, è stata la stessa vice premier a esortare Puigdemont a mettere fine all’instabilità facendo un passo indietro: ha “ancora tempo di recuperare la normalità istituzionale”, ha detto Saenz de Santamaria, sfrutti “l’opportunità più importante che ha” per rettificare e mettere fine alla deriva che “danneggia i catalani”, “divide e impoverisce”. Inoltre, lo ha invitato ad andare al Congresso a presentare le sue proposte, perché “tutto può essere discusso, nel rispetto delle regole democratiche e dei diritti dei cittadini”. Da Lussemburgo è arrivata la voce del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, che si è detto “molto preoccupato”: “Se permettiamo alla Catalogna” di “separarsi, altri faranno la stessa cosa. Non lo vogliamo”. Si è poi rivolto a Rajoy, ha riferito Reuters, chiedendogli di garantire che la situazione non vada fuori controllo.
Intanto, il Registro delle imprese spagnolo ha reso noto il numero di aziende che hanno lasciato la Catalogna per i timori legati al referendum. Sono almeno 531 quelle che, sfruttando anche un decreto ad hoc del governo, hanno spostato la sede legale fuori dalla Catalogna, soprattutto lasciando Barcellona. La gran maggioranza di esse (524) si è trasferita tra i giorni 9 e 11 ottobre.