“La giustizia inglese ci ha strappato il nostro diritto di genitori di decidere cosa è bene per il nostro bambino, ma noi non smettiamo di combattere: vivere con il dubbio di non aver tentato tutto il possibile per noi sarebbe insostenibile”. In vista della nuova udienza dell’Alta Corte inglese sul caso Charlie Gard, la mamma del piccolo, Connie Yates, non smette di lottare per far sentire al mondo le sue ragioni.
Non vuole staccare la spina al figlio di dieci mesi affetto da una malattia congenita rarissima, conosciuta come sindrome di depressione del Dna mitocontriale. Non può vedere, non può sentire, non può muoversi ed è costretto a respirare tramite la respirazione assistita. Nel mondo ne soffrono solo 16 bambini: è una sindrome che causa debolezza muscolare progressiva e danni cerebrali, perché il corpo non produce energia per gli organi, motivo per cui l’ospedale in cui è ricoverato, il Great Ormond Street di Londra, aveva chiesto che il piccolo potesse morire con dignità. “Interrompere i trattamenti, se le misure adottate non sono più compatibili con la dignità del bambino”, si leggeva nelle prime sentenze (dell’Alta Corte inglese l’11 aprile, della Corte d’appello inglese il 25 maggio e della Corte europea dei diritti dell’Uomo l’8 giugno).
In un memoriale esclusivo in edicola sul settimanale Oggi, Yates chiede di permetterle di tentare la strada della cura sperimentale elaborata da un team di esperti internazionali coordinali dall’ospedale pediatrico della Santa Sede, Bambino Gesù.
“Chris e io – scrive – non abbiamo mai creduto che il suo cervello fosse danneggiato quanto dicono gli specialisti. Come non crediamo al fatto che sia completamente cieco, visto che spesso apre gli occhi. Lo facciamo addormentare accarezzandogli i capelli, lo svegliamo facendogli il solletico sotto i piedi: Charlie sa che siamo lì con lui”.
Lunedì scorso il giudice si sarebbe dovuto pronunciare sulla possibilità per Charlie che venisse curato con questo protocollo sperimentale negli Stati Uniti (il Bambino Gesù si era offerto di ricoverarlo, ma non sarebbe disposto a eseguire la sentenza della giustizia inglese, che chiede in caso estremo di staccare i macchinari). I genitori però hanno chiesto più tempo. Un rinvio dell’udienza fra il 25 e il 27 luglio, per poter raccogliere il materiale che dimostri la validità della cura, che al momento non è stata testata neanche sui topi – secondo il legale della famiglia le prime indicazioni dovrebbero arrivare il 21 luglio -.
Nella sua lunga testimonianza, Connie Yates ripercorre giorno per giorno il dramma della malattia di Charlie, a cominciare dai primi sintomi. “Charlie era un bambino perfetto, sorrideva al papà, ero pazza di gioia. Poi, a sei settimane cominciò a rifiutare il mio latte, perdeva peso. E quando lo prendevo in braccio sembrava si afflosciasse, senza tono”, racconta la mamma. “I medici ci diedero la diagnosi e noi tirammo un sospiro di sollievo: se si sa cos’è si potrà curare!, pensammo. Purtroppo non è stato così semplice. Ho passato intere nottate sul web a mandare mail agli specialisti di tutto il mondo. Ma quando abbiamo detto ai medici del Great Ormond Street Hospital che negli Stati Uniti esisteva un terapia, loro hanno chiesto al tribunale di revocarci la patria potestà”.
“I pediatri dell’ospedale sono i primi ad ammettere che non possono diagnosticare con precisione l’estensione dei danni al cervello di Charlie. Io lavoro con i disabili e lo so bene che talvolta i dottori si sbagliano. Ho visto più volte i pazienti superare le previsioni dei medici”, assicura la mamma di Charlie, che con il marito Chris Gard ha raccolto donazioni per 1,5 milioni di euro per le cure del figlio. I coniugi Gard sono ora in attesa di una risposta dall’Alta Corte di Londra. “Noi chiediamo solo la possibilità di tentare: se non funzionasse, saremo sereni nel lasciarlo andare”.