Roma, 14 gen. (LaPresse) – “Con gli occhi d’angoscia della timidezza e della cattiveria che deriva dalla timidezza, sempre pronto a dibattersi, difendersi, aggredire, per proteggere la sua intima indecisione”. Con queste parole Pier Paolo Pasolini, nel 1962, descrive l’attore Franco Citti, morto questa sera nella sua casa romana a 80 anni. Fu l’Accattone’ del grande poeta e regista ma l’attore recitò in tantissimi film. Nato a Roma nel 1935, originario delle stesse borgate sottoproletarie che lo scrittore aveva narrato in ‘Ragazzi di vita’ e ‘Una vita violenta’, Citti conobbe Pasolini all’inizio degli anni ’50, quando lo scrittore stava lavorando alla stesura del romanzo che doveva dargli la notorietà (Ragazzi di vita, appunto) e frequentava il fratello Sergio, da lui definito “lessico vivente romanesco”. Quando Pasolini esordì nel cinema, volle che ‘Accattone’ avesse il volto inquieto e sofferto di Franco Citti. Così il ‘non attore’ divenne l’incarnazione stessa di un’umanità respinta ai margini della “Città di Dio”, che nonostante la degradazione in cui vive, conserva un’inattesa, paradossale, intatta innocenza.
Chi era Citti: ‘ragazzo di vita’ che non rinnegò se stesso
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