‘Tarantelle’: non solo il nome di un ballo ma, nel dialetto napoletano, sinonimo di guai, problemi. E proprio per questo significato, Clementino ha deciso di intitolare così il suo nuovo album, uscito il 3 maggio. Perché il percorso che ha portato il rapper campano dall’essere un 16enne che sognava di diventare una rapstar a ciò che è oggi è stato pieno di quelle proverbiali ‘tarantelle’. Fino ad arrivare a questo disco: due anni di lavoro, quattordici tracce scelte fra oltre settanta. Tutti orientati verso quello che lui stesso definisce il ‘Clementismo’: un rap che si orienta verso la grande musica napoletana, per esempio quella di Pino Daniele. Un lavoro variegato, con pezzi ‘riempipista’ ma anche con canzoni più cantautorali e i featuring di Nayt, Gemitaiz, Fabri Fibra e Caparezza. In ogni traccia, l’imperativo è uno solo: la verità, quello che chiama il “real rap”.
Perché Clementino si sente uno degli ultimi superstiti di una grande generazione di rapper. Quel che è nuovo non è tutto da buttare, ma “parlo male di quella fetta di giovani che ci sta portando solo ai like e all’apparenza. E’ diventata un’era in cui la cosa più importante è far vedere cosa mangi, dove sei. Ma credo che nel 2019 sia il momento di tornare a far sentire la musica. Sono contrario al rap dell’apparenza”. La stoccata alla generazione dei trapper è evidente: “Ostentare va bene, ma fino ad un certo punto. Il problema è come fai le cose. Sento ragazzi che inneggiano alla droga, come se fosse una cosa bella. Io ve lo vorrei dire cosa ho passato in comunità per la cocaina. Ma cosa dite? E’ pericoloso, io stavo morendo e non c’è niente da ridere”. Da allegro e comunicativo, quando tocca l’argomento droga Clementino si fa serio: “Ho passato due anni di inferno, comunità, psicologo. Potevo finire male, ma la musica ha salvato la mia vita. Mi ha spinto a fare e pensare ad altro per non cadere nel baratro”.
Clementino continuerà a lavorare su se stesso e sulla sua musica durante il tour europeo, al via il 21 giugno da Amsterdam, per tornare in Italia in autunno quando spera di avere sul palco la band e “creare un pochino di intrattenimento”. Perché lui, in origine, arriva dall’animazione nei villaggi e parlando con lui si capisce subito. Ha l’anima dell’intrattenitore. Tanto che lo si vedrebbe bene come giudice di un talent: “Mi piacerebbe – commenta – ma non per la musica rap. Ho una buona comunicazione con tutti e questo serve. Forse non lo farei adesso ma in futuro chissà”.
Intrattenere, sì, ma senza nascondere le proprie idee. Come sulla politica, visto che in uno dei brani dell’album parla di Salvini e Di Maio. “Da buon meridionale non posso stare dalla parte di Salvini. Per me sono tutti uguali, quindi se per te non è così non andiamo d’accordo”.