Le emissioni globali di anidride carbonica prodotte dai combustibili fossili cresceranno del 2% nel 2017, dopo tre anni di stagnazione, principalmente a causa del maggiore uso di carbone in Cina. Lo certifica il Global Carbon Budget, elaborato ogni anno da circa 80 scienziati di 15 Paesi, che sarà pubblicato sulla rivista scientifica Nature Climate Change ed è stato anticipato lunedì al vertice sul clima Cop23 di Bonn.
La conclusione principale è che il 2017 si chiuderà con 37.000 milioni di tonnellate di anidride carbonica in più nell’atmosfera per colpa dei combustibili fossili. Con un incremento del 2% rispetto alla rilevazione precedente. Se a tale cifra si aggiungono il resto delle emissioni di CO2 causate da altre attività, come la deforestazione, il 2017 si rivela un anno da oltre 41 miliardi di tonnellate di CO2 in più. Glen Peters, direttore del centro di ricerca CICERO a Oslo e uno degli autori dello studio, ha detto che “l’aumento delle emissioni nel 2017 è dovuto principalmente alla crescita della produzione in Cina, che salirà del 3,5% dopo due anni stabili”.
Gli scienziati indicano il maggiore uso di carbone, che rimane la principale fonte di energia in Cina, e la minore produzione idroelettrica come i fattori che causano l’aumento delle emissioni del gigante asiatico, che è responsabile del 28% dei gas serra totali.
Lo studio prevede inoltre che le emissioni inquinanti crescano del 2% in India, una cifra comunque inferiore all’aumento medio delle emissioni nell’ultimo decennio (6%). Gli Stati Uniti, invece, ridurranno le proprie emissioni dello 0,4% nel 2017, un dato inferiore alla media dell’1,2% di calo dell’ultimo decennio, ma con un aumento del 2,2% del Pil stimato per quest’anno. I ricercatori hanno segnalato che non prevedono una ripresa delle emissioni negli Stati Uniti, nonostante la politica di incentivo al carbone del presidente Donald Trump.
Da parte sua, l’Unione europea ridurrà le sue emissioni quest’anno dello 0,2%, un decremento inferiore alla media annua del 2,2% dell’ultimo decennio. Secondo un altro degli autori, il professore della Stanford University Robert Jackson, l’aumento delle emissioni è dovuto a un miglioramento dell’economia globale: “Produciamo più beni, il che porta a più emissioni, quindi la chiave è produrre e consumare in modo diverso”.
Corinne Le Quéré, direttore del Centro Tyndall per la Ricerca sui Cambiamenti Climatici all’Università of East Anglia (Regno Unito), ha detto che “questo aumento delle emissioni mostra che il tempo sta per scadere, se vogliamo mantenere il riscaldamento globale sotto i due gradi e, se possibile, in 1.5, come risulta dall’accordo di Parigi”. A lungo termine, gli scienziati hanno sottolineato che le emissioni non dovrebbero ritornare ai tassi di crescita elevati del primo decennio di questo secolo, con incrementi di circa il 3% all’anno, e che “molto probabilmente tenderanno a stabilizzarsi”.