Con la transizione ecologica sono possibili 15 milioni di nuovi posti di lavoro entro il 2050. Questo quanto emerge dal nuovo rapporto di McKinsey and company ‘The net-zero transition: what it would cost, what it could bring’. Lo studio parla di “benefici sociali e economici nei 69 Paesi” presi in considerazione, e dei settori che producono l’85% delle emissioni totali, “a patto che il processo sia coordinato”.
Lo studio – viene spiegato – analizza la portata dei cambiamenti economici necessari a raggiungere l’obiettivo delle ‘zero emissioni nette’.
Dal rapporto emerge che nei 69 Paesi considerati: “la transizione avrà una natura universale. Tutti i settori economici e tutti i Paesi saranno interessati dai cambiamenti dei sistemi energetici e di utilizzo del suolo che caratterizzano le economie mondiali e generano emissioni. La portata della trasformazione economica sarà significativa. Il capitale investito in asset fisici dovrebbe ammontare a circa 275 trilioni di dollari, pari al 7,5% del PIL globale, entro il 2050 – circa 9,2 trilioni di dollari l’anno – che corrisponde a un aumento di 3,5 trilioni di dollari rispetto all’attuale livello di spesa annuale, come conseguenza del passaggio dalle attività ad alte emissioni a quelle a emissioni ridotte”.
I cambiamenti saranno concentrati nella prima fase della transizione. Il prossimo decennio sarà determinante. La spesa potrebbe salire all’8,8% del Pil tra il 2026 e il 2030, rispetto al 6,8% attuale, prima di scendere nuovamente.
L’impatto potrebbe essere differente a seconda dei settori e dei Paesi. I più esposti saranno i settori con prodotti o attività ad alte emissioni, i Paesi a basso reddito e quelli con ingenti riserve di combustibili fossili. Al momento, i settori più esposti rappresentano circa il 20% del Pil mondiale. Un altro 10% del Pil proviene da settori le cui catene di approvvigionamento producono grandi quantità di emissioni, come per esempio l’edilizia.
I cambiamenti economici sarebbero molto più significativi nel caso di una transizione non ordinata – osserva il rapporto – se non gestita adeguatamente, la transizione comporterebbe diversi rischi, tra cui carenze dell’offerta di energia e aumenti dei prezzi.