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Concessione, revoca, stralli. Le parole della tragedia di Genova

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Concessione, scadenze, proroghe, revoca, controlli. Come spesso succede davanti a un grande e dolorosissimo disastro, impariamo a usare parole che, di solito, non fanno parte del nostro lessico. Sabato, giorno dei funerali delle vittime del crollo del Ponte Morandi, sarà il giorno del silenzio e della riflessione. Ora, proviamo a dare un senso più compiuto a quelle parole. Non useremo l’ordine alfabetico, ma proveremo a seguire un ordine logico-temporale.

Privatizzazione – La privatizzazione delle autostrade italiane comincia nel 1999 (governo di centrosinistra Ds-Ppi-Pdc-Udr-FdV, Ri, Sdi, La Rete, presidente Massimo D’Alema, in carica da 21 ottobre 1998 al 18 dicembre 1999). L’idea è che il “carrozzone” della Società Autostrade, costasse troppo allo Stato e che sarebbe stato gestito meglio dai privati. Nessuna opposizione seria. Il centrodestra non può non essere d’accordo su un percorso di privatizzazione. La prima fase avviene con l’ingresso dei privati (Benetton in testa) nell’azionariato della vecchia Società Autostrade e la quotazione in Borsa.

Concessione – E’ il passaggio successivo che si concretizza nel 2003. Nel 2002, è stata costituita allo scopo la Autostrade per l’Italia (Aspi) che fa capo a Atlantia (controllata dal Gruppo Benetton). Aspi riceve la concessione nel 2003. Concessione significa che le autostrade restano di proprietà dello Stato e che la concessionaria deve gestirle, manutenerle, investire per migliorarle, riscuotere i pedaggi pagare un canone (2,4% dei ricavi) e tenersi l’utile. Lo Stato si toglie un problema, incassa dei soldi (più le tasse che la concessionaria pagherà) e si trova ad avere una rete autostradale sempre efficiente. Purché il concessionario faccia il suo dovere.

Il controllo di tutto questo spetta (dal 2014) alla Direzione per la vigilanza delle concessioni autostradali presso il Ministero dei Trasporti. Questo non toglie che controllo diretto, sicurezza e manutenzione siano a carico dell’Aspi che deve fare tutto quanto in suo potere per gestire al meglio la convenzione. Ogni anno deve presentare un piano di manutenzione e miglioramento. In particolare, per il Ponte Morandi, erano previsti controlli a vista ogni tre mesi e, più approfonditi, ogni due anni. Il ministero deve controllare se la concessionaria ha fatto quanto andava fatto, ossia deve verificare “la corretta esecuzione dei lavori di manutenzione ordinaria secondo quanto previsto dalla convenzione e dal programma preventivo annuale”. Nel caso del Ponte Morandi, è chiaro, che se, putacaso, Aspi non avesse fatto qualcosa di quanto detto e scritto, ne porterebbe la piena responsabilità. Al ministero resterebbe, al massimo, una “culpa in vigilando”.

A oggi Aspi ha ricevuto in concessione 3.020 chilometri della rete autostradale nazionale. Poco meno della metà (in totale sarebbero 6.629). L’Anas ne ha incarico circa un migliaio e altre 24 società, per lo più a livello regionale, gestiscono dei tratti più o meno rilevanti.

Nel 2007 (governo Prodi, ministro Di Pietro) la concessione viene rinnovata e rifirmata. Con alcune modifiche (ce ne saranno sempre) è quella tutt’ora vigente. La sua durata è trentennale e doveva scadere nel 2038. La famosa “proroga” di cui parla Di Maio, l’ha portata al 2042. Vedi, più avanti, alla voce “proroga”.

La nuova concessione stabilisce, oggetto (i 3.020 km di autostrada) durata (30 anni), poteri dello Stato concedente, decadenza e revoca ecc. Ci sono più di venti allegati compreso il progetto finanziario che è secretato per motivi soprattutto di concorrenza (Atlantia è una società quotata in Borsa). Si tratta di una prassi comune in questi casi. Chiaro che dovrà essere desecretato e che, comunque, magistrati, governo e Parlamento dovranno avervi accesso.

Si è anche parlato del fatto che Atlantia non pagherebbe le tasse in Italia. In un primo tempo (2009) era così perché Atlantia era controllata da Sintonia spa (società di diritto lussemburghese). Dal 2013, però, tutto è tornato in Italia e Atlantia paga qui le sue tasse.

Nei 5 anni della nuova concessione, Aspi ha fatto circa 4 miliardi di utili e ne avrebbe reinvestiti circa la metà (2,1 miliardi). L’ultima relazione disponibile del Ministero (2016) dice che Aspi ha eseguito tutti i programmi di manutenzione dal 2008 al 2016. Anzi, un po’ di più: il 102%

Proroga – Luigi Di Maio, ieri ha attaccato violentemente il Pd e Renzi per la proroga concessa a Aspi nel 2014. In un primo tempo tutti hanno pensato che il governo Renzi avesse prorogato una concessione che stava per scadere. La proroga (decisa nel decreto “sblocca Italia” nel novembre 2014) riguarda invece la fine della concessione che viene spostata dal 2038 al 2042. Di Maio ha accusato il Pd di aver preso (“legalmente” ha detto) i soldi da Benetton, Renzi gli ha risposto “Bugiardo e sciacallo”). La questione, per quanto si è capito, è questa: la proroga di 4 anni della fine della concessione è stata data per sbloccare 8,5 miliardi di investimenti che andavano fatti sulla rete autostradale in concessione (compresa la famosa “Gronda” che serviva anche a “scaricare” il peso del traffico dal Ponte Morandi). Per andare avanti con questi investimenti, Aspi chiedeva o un aumento dei pedaggi o una proroga (in avanti) della concessione. Il governo Renzi accordò la seconda perché non sarebbe pesata direttamente sulle tasche degli italiani.

Revoca – Di Maio e Toninelli insistono da giorni sulla necessità di partire subito con la procedura di revoca della concessione a Aspi. A loro si sono uniti, in un primo tempo, anche il premier Conte e Salvini. Poi Conte non si è più pronunciato in merito e Salvini ha frenato cambiando strada. Per il Ministro degli Interni, infatti, sarebbe meglio pensare alla revoca della concessione in un secondo tempo (anche alla luce di accertamenti tecnici e della magistratura) e, intanto, chiedere a Aspi (e a Benetton) un segnale tangibile (500 milioni di euro) per risolvere l’enorme problema di viabilità (locale e nazionale) che si è aperto a Genova e pagare in parte le case agli sfollati. Ma Di Maio non vuole sentire e insiste: “Dovranno passare sul mio corpo”.

La questione della revoca è prevista nella concessione. Il documento dice che la concessione può essere revocata, può decadere o il concessionario può recedere. Ma in ogni caso, anche se c’è stata una grave inadempienza, al concessionario va un indennizzo pari ai mancati pedaggi incassati. Nel caso si parla di 18/20 miliardi ai quali si sommerebbero i costi per gli investimenti di opere già avviate. A spanne potrebbero essere una trentina di miliardi. Si potrebbe pensare a una revoca parziale (solo la A10) ma anche qui ci sarebbero costi notevoli perché la A10 (158 km) è collegata ad altri pezzi e, comunque, ci sarebbero i circa 4,5 miliardi di investimenti per la Gronda che tornerebbero a carico dello Stato. Tra diffida, risposte e scaramucce varie ci ballerebbero, comunque, circa sei mesi per arrivare effettivamente alla revoca. Negli ultimi due anni, però, pur rispettando (fino a prova contraria) i compiti di manutenzione e investimenti, Aspi ha distribuito agli azionisti (100% Atlantia) un miliardo e mezzo di utili. A voler essere maligni, si potrebbe insinuare che i Benetton, sapendo la contrarietà dei M5S alla concessione (indipendentemente dal crollo del ponte) abbiano messo al sicuro i loro “risparmi”.

Il ponte e gli stralli – Strallo, in gergo, navale e il sottile cavo d’acciaio che collega l’albero della barca alla prua e che serve a tenerlo in piedi e a regolare l’inclinazione dell’albero stesso. In gergo ingegneristico, gli stralli sono gli enormi cavi “laterali” che collegano la sommità dei piloni al piano del viadotto e aiutano a sostenere l’intera struttura. Sono fatti di “trefoli” enormi cavi d’acciaio tra loro intrecciati e ricoperti (nel caso del “Morandi”) di cemento precompresso che sembra però esserne anche la debolezza perché il cemento impedisce un buon controllo dei cavi che, dentro tendono a deteriorarsi.

Nel caso del viadotto crollato, l’ipotesi del cedimento di uno o più stralli (quelli collegati alla campata venuta giù) è la più accreditata. Ci sono diversi testimoni (compresa una signora (che ha visto il crollo dalla parte di ponte rimasta in piedi) che dicono di aver visto prima di tutto staccarsi o cedere gli stralli. Le immagini televisive acquisite dalla Procura di Genova dovrebbero essere definitive in questo senso. Il professor Antonio Brencich, esperto di strutture sospese e membro della Commissione Infrastrutture e Trasporti che dovrà accertare le cause del crollo (molto critico con il progetto Morandi) ha detto che ipotesi “del cedimento degli stralli è un’ipotesi seria di lavoro”. La storia del fulmine sembra del tutto incredibile mentre il cedimento dei piloni sembra molto meno probabile.

 

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