Chiesa gremita per l’ultimo saluto a Rita Borsellino. In centinaia da diverse parti d’Italia si sono recati per un ultimo saluto alla sorella del giudice Paolo, scomparsa mercoledì a 73 anni dopo una lunga malattia.
Donne e uomini delle istituzioni, magistrati, rappresentanti delle forze dell’ordine, esponenti delle associazioni antimafia ma soprattutto tanti giovani. A celebrare l’omelia, nella parrocchia del Don Orione a Palermo, l’arcivescovo della città Corrado Lorefice. “Il miglior modo per ricordarla, lei che non amava le false promesse, è con i fatti”, dice commosso don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele, arrivando in chiesa.
Una folla silenziosa ha assistito alle esequie fuori dalla chiesa ormai piena. Seduti in prima fila i figli Cecilia, Claudio, Marta e i nipoti di Rita Borsellino. Presenti anche il ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, l’ex presidente del Senato, Pietro Grasso, il presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, l’ex presidente della commissione Antimafia, Rosy Bindi, il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, il prefetto di Palermo Antonella De Miro, Maria Falcone e Giuseppe Antoci, responsabile Legalità del Pd.
In moltissimi, per due giorni, hanno affollato la camera ardente allestita nel bene confiscato alla mafia Casa della memoria di via Bernini, assegnato al Centro studi Paolo Borsellino. “Libera da ogni condizionamento di parte”, risuonano le parole dell’arcivescovo Lorefice.
Una donna gentile, impegnata, tenace, che ha fatto dell’impegno civile la sua ragione di vita. “Nata il 19 luglio”, così amava definirsi Rita Borsellino. Europarlamentare dal 2009 al 2014, nel 2006 la sua sfida più alta: governare la Sicilia al posto di Salvatore Cuffaro. Vinse a Palermo, ma non altrove. Il don parla della “fede dei semplici e dei puri di cuore, non la fede di chi strumentalizza il Vangelo per fini di carattere mafioso o politico”. La stessa che ha aiutato Rita a non smettere, fino agli ultimi giorni di vita, di chiedere verità sulla morte del fratello e degli agenti della sua scorta uccisi da Cosa Nostra il 19 luglio 1992.
“Una storia – dice il religioso – che ha ancora mille dubbi”. In chiesa anche chi la conosceva bene. Come don Luigi Ciotti, presidente di Libera e Gruppo Abele. “Non amava le false promesse. Amava i fatti. E il miglior modo di ricordarla è fare i fatti. La lotta alla mafia ha bisogno del contributo di tutti. Di tutti”, racconta commosso. “Se ne è andata via con molta dignità, in grande silenzio. Io ho ricevuto il dono di poter scambiare con lei le ultime parole, chiedendo a Dio che ci dia sempre una buona pedata ad andare avanti. Perchè – dice Ciotti – abbiamo bisogno di scuoterci sempre e di restare umili”.