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Consulta, illegittime le norme che attribuiscono automaticamente il cognome del padre

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La Corte Costituzionale ha ritenuto “discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre” e ha precisato che “la regola diventa che il figlio assume il cognome di entrambi i genitori nell’ordine dai medesimi concordato, salvo che essi decidano, di comune accordo, di attribuire soltanto il cognome di uno dei due”. Lo rende noto la stessa Consulta riunitasi oggi per esaminare le questioni di legittimità costituzionale sulle norme che regolano, nell’ordinamento italiano, l’attribuzione del cognome ai figli. La Corte ha, dunque, dichiarato “l’illegittimità costituzionale di tutte le norme che prevedono l’automatica attribuzione del cognome del padre, con riferimento ai figli nati nel matrimonio, fuori dal matrimonio e ai figli adottivi”.

Le norme censurate – precisa la Corte – sono state dichiarate illegittime per contrasto con gli articoli 2, 3 e 117, primo comma, della Costituzione, quest’ultimo in relazione agli articoli 8 e 14 della Convenzione europea dei diritti dell’uomo.

La Corte ha inoltre “ritenuto discriminatoria e lesiva dell’identità del figlio la regola che attribuisce automaticamente il cognome del padre. Nel solco del principio di eguaglianza e nell’interesse del figlio, entrambi i genitori devono poter condividere la scelta sul suo cognome, che costituisce elemento fondamentale dell’identità personale”, scrive la Consulta.

In mancanza di accordo sull’ordine di attribuzione del cognome di entrambi i genitori, precisa la Corte “resta salvo l’intervento del giudice in conformità con quanto dispone l’ordinamento giuridico”.

Cirinnà: “Decisione storica, peccato Parlamento non trovi coraggio”

“Dalla Corte costituzionale, una decisione storica e molto attesa: non sarà più possibile attribuire automaticamente a bambine e bambini il solo cognome del padre. La Corte tutela l’identità personale di figli e figlie e dà piena attuazione al principio di eguaglianza. E’ stata eliminata una discriminazione insopportabile, che rendeva invisibili soprattutto le donne nella determinazione della discendenza”. Lo dichiara Monica Cirinnà, senatrice e responsabile Diritti del Partito democratico. “Dispiace però – prosegue – che a sei anni dalla prima decisione della Corte sul tema, il Parlamento non sia riuscito a dare risposte: ancora una volta, questa vicenda dimostra che sui diritti la politica deve trovare il coraggio di decidere. Ogni ambiguità, ogni esitazione, ogni incertezza tiene in ostaggio identità, storie ed esperienze che chiedono di essere riconosciute e tutelate: e quando la misura è colma, bene fanno le Corti – a partire dalla Corte costituzionale – a intervenire. Mi auguro allora”, conclude, “che il Senato, che sta discutendo proprio in questi giorni i disegni di legge sull’attribuzione del cognome della madre, colga l’occasione di questa sentenza per dare una sistemazione alla materia, che sia definitiva e pienamente rispettosa dei diritti e dell’eguaglianza di tutte le persone”, conclude Cirinnà.

 

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