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Consumi, Confesercenti: Con pandemia e italiani più poveri persi 35-40 miliardi

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La ripresa dei consumi viaggia meno velocemente del Pil: alla fine dell’anno prossimo il volume potrebbe essere ancora inferiore ai livelli pre-Covid, con uno scarto residuo di circa 20 miliardi. A lanciare l’allarme è la presidente di Confesercenti, Patrizia De Luise, dal palco dell’assemblea per il cinquantennale dell’associazione. Di certo c’è che la pandemia ha impoverito gli italiani: a fine anno “il reddito medio delle famiglie sarà ancora 512 euro inferiore ai livelli pre-crisi”. Una perdita di liquidità che si riflette nella prudenza nelle decisioni di spesa: “La perdita di consumi attribuibile alle scelte di maggiore prudenza e risparmio degli italiani è compresa fra i 35 e i 40 miliardi annui“.

Insomma la ripresa c’è ma non è tutto a tinte rosse, anche perch il percorso per riportare il Pil a livelli pre-pandemia alla fine del prossimo anno non è certo privo di ostacoli “Nei primi nove mesi del 2021, ad esempio, i prezzi delle materie prime industriali sono aumentati del 43%, il petrolio del 55%, il gas naturale del 166%. Un’ondata di rialzi che si ripercuoterà anche su prezzi e consumi – prevede De Luise – La maggiore inflazione potrebbe sottrarre, in due anni, 9,5 miliardi di euro di consumi: circa 4 miliardi quest’anno e 5,5 miliardi del 2022″.

Durante la pandemia hanno perso il lavoro 720mila occupati

Anche per quanto riguarda il lavoro non c’è da abbassare la guardia: secondo i dati di Confesercenti nel corso della pandemia hanno perso il lavoro 720mila occupati, e ne sono stati recuperati solo 340mila: meno della metà. A pesare soprattutto il crollo del lavoro indipendenti: sono 356mila le posizioni di lavoro autonomo cancellate dall’emergenza covid. L’incertezza creata dall’emergenza in alcuni settori ha ridotto anche il personale specializzato disponibile: nel turismo e nei pubblici esercizi ci sono circa 100mila posti di lavoro ‘vacanti’ per assenza di personale. E la riforma degli ammortizzatori non convince: così come descritta in manovra, comporterà per il settore del commercio, turismo, servizi tecnici e magazzinaggio un incremento complessivo dei contributi di quasi 600 milioni euro, di cui 200 riferiti alle imprese fino ai 15 dipendenti, con un aumento medio complessivo per dipendente di 90 euro. “Un aumento inoltre del tutto ingiustificat – lo definisce De Luise – visto che nel quadriennio 2016-2020 il nostro fondo di integrazione salariale ha presentato un attivo di quasi 2 miliardi di euro”. Anche sulle politiche attive “manca ancora un riferimento alla formazione delle imprese”. Inoltre “il fondo nuove competenze va rafforzato” e “occorre maggiore flessibilità per le assunzioni a tempo determinato” mentre “Vanno detassati i futuri aumenti contrattuali, non introdotti salari minimi”. E sul fisco “gli 8 miliardi costituiscono una base di partenza molto ridotta. E non è ancora chiara la fase due: non è ancora definito come saranno ripartiti, che è una questione fondamentale”.

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