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Corona ai giudici: Ridatemi la mia famiglia, soldi non mi interessano

Foto AP-LaPresse - Tutti i diritti riservati

“Fuori ad aspettarmi è rimasta mia madre, che darebbe la vita per mio figlio ma si sta facendo vecchia, e la mia fidanzata, che pur essendo giovane è unica e speciale e quello che ha fatto per me non lo avrebbe fatto nessuna donna. Ho questa piccola famiglia, mi aspetta ed è l’unica cosa che voglio, i soldi non mi interessano, potete anche tenerveli. Datemi ciò che è giusto e fatemi riprendere il percorso da dove lo avevo interrotto”. Questo è un passaggio della lettera che Fabrizio Corona ha indirizzato ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Milano, che tra qualche ora pronunceranno la sentenza a suo carico per i 2,6 milioni di euro in contanti trovati nel controsoffitto della casa della sua collaboratrice Francesca Persi e in due cassette di sicurezza in Austria. “Sono stanco – ha aggiunto l’ex re dei paparazzi -, non penso di essere è più forte come prima e ho paura, non per me ma per mio figlio, che dal giorno del mio arresto a casa di mia madre in un modo così assurdo non è più quello di prima”.

“Sono sempre stato un casinista, sono forse un matto, ma non sono un criminale e soprattutto non sono e non sarò mai un mafioso”, ha proseguito, “mio figlio Carlos di 14 anni è venuto a trovarmi in carcere e mi ha detto: non può esistere una società basata sul libero arbitrio, cerca di essere fiducioso e soprattutto ricorda che il perdono è meglio di una preghiera”.

Ha citato Platone e Shakespeare Fabrizio Corona, che questa mattina, prima che i giudici della prima sezione penale di Milano si ritirassero in camera di consiglio per la sentenza, ha fatto dichiarazioni spontanee e ha letto una lettera indirizzata alla corte. La sua è stata una difesa appassionata e l’ex re dei paparazzi ha ringraziato pubblicamente la fidanzata Silvia Provvedi, che si è commossa, per l’appoggio dimostratogli. Non sono mancati, però, gli attacchi agli inquirenti e alla Dda di Milano e al pm Alessandra Dolci, che per Corona avrebbero fatto “molto rumore per nulla”. Corona ha detto di sentirsi “un perseguitato” dalla giustizia italiana, “solo perché arrestare Corona dà 5 minuti di celebrità a tutti”.

Corona ha ricordato in aula che se i giudici decidessero di condannarlo a 5 anni di carcere, come ha chiesto il pm Alessandra Dolci, rischierebbe in realtà di essere condannato a 7 anni, perché alla pena andrebbe ad aggiungersi un anno di condanna che ha già scontato in affidamento terapeutico, che si azzererebbe, e un altro anno per la mancata liberazione anticipata. Se poi la Cassazione il prossimo 21 giugno dovesse decidere di non riconoscere la continuazione delle pene all’ex re dei paparazzi per le condanne già inflittegli, “il mio cumulo di pena – ha spiegato l’ex re dei paparazzi – supererebbe i 21 anni di galera”. “Quando si parla di anni di vita – ha sottolineato Corona – bisogna avere una grande delicatezza” e occorre “onestà intellettuale”, ha lamentato Corona, sottolineando come il pm non abbia mai incalzato i testimoni portati dalla difesa, non abbia prodotto prove per dimostrare la sua colpevolezza, ma si sia limitata a suo dire a sollecitare una condanna a 5 anni. Per Corona, inoltre, non c’è alcuna prova che i contanti che gli sono stati trovati non appartenessero alle sue società Fenice e Atena e che, come aveva ipotizzato l’accusa, potessero provenire da qualche affare illecito. “Hanno detto che i soldi provenivano da ambienti mafiosi – ha spiegato Corona -, ma mai avrei immaginato nella mia vita di essere indagato dalla Direzione distrettuale antimafia” sulla base delle “pericolose rivelazioni di un pentito che non è certo Tommaso Buscetta, ma Geraldine Darù (sua ex collaboratrice, ndr). La polizia che ha fatto le indagini in aula si è, per così dire, avvalsa della facoltà di non rispondere”. “Ogni volta che si parla di me è tutto sproporzionato, abnorme, assurdo”, ha aggiunto Corona, spiegando che contro di lui c’è un “fumus persecutionis”.

Se non fosse per la bomba carta esplosa sotto le sue finestre il 16 agosto del 2016, per l’ex re dei paparazzi il processo non si sarebbe celebrato. “Se quel maledetto 16 agosto non avessi chiamato la polizia – ha detto -, noi tutti non saremmo qui”. E ancora, sull’accusa di evasione fiscale: “C’era un solo modo per verificare se avrei pagato i soldi al Fisco – ha spiegato -, bastava aspettare la scadenza fiscale e vedere se pagavo oppure se davo i soldi a Sculli (l’ex calciatore con cui Corona aveva litigato anche per ragioni di denaro, ndr). In due mesi di pedinamenti non hanno scoperto nulla: casa, ufficio, palestra, facevo tutto secondo le regole”.
 

 

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