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Coronavirus, 157 mila le vittime nel mondo. E la paura torna in Giappone

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 Oltre 2,2 milioni di contagi confermati nel mondo e almeno 157mila morti. Le bolle rosse che indicano la diffusione del nuovo coronavirus sulla mappa del mondo della Johns Hopkins University coprono ormai come grandi macchie Stati Uniti, Europa e Medioriente. Ma il resto del mondo non è immune dalla pandemia, piuttosto, dicono gli esperti, ci sono ‘falle’ nella registrazione dei casi, tra l’altro perché non sono effettuati test sufficienti e perché vari governi hanno sottorappresentato i dati. In Europa, lockdown e restrizioni sociali imposti settimane fa stanno dando risultati. In Spagna, il numero dei morti giornalieri torna a calare: 565 rispetto ai 585 di venerdì, con il totale a oltre 20mila. Anche le infezioni rallentano, con quasi 192mila contagi, mentre il Paese resta in stato d’allerta. La polizia ha però diffuso un preoccupante dato sulle violenze di genere: in un mese, gli interventi sono aumentati del 25% rispetto allo stesso periodo del 2019.

 Nel Regno Unito altre 888 persone sono morte negli ospedali, portando il totale a 15.464, mentre i contagi sono aumentati di 5.525 superando i 114mila. I dati sono “incoraggianti” per il direttore del servizio sanitario NHS per l’Inghilterra, Stephen Powis: “Cominciamo a vedere una riduzione delle persone ospedalizzate per Covid-19”. E la regina Elisabetta II, che martedì compirà 94 anni, ha chiesto che non si svolga il tradizionale saluto con colpi di cannone: “Non lo ritiene appropriato alle circostanze”, ha spiegato Buckingham Palace. Nel frattempo anche la Svezia, in controtendenza con misure di contenimento relativamente blande, tira un sospiro di sollievo: supera i 1.500 morti e 13.800 contagi, ma per l’epidemiologo Anders Tegnell “la pressione sui servizi sanitari è in diminuita. Speriamo sia un trend che continuerà”.

 In Giappone, l’epidemia torna a far paura. Con 556 nuovi casi si arriva a oltre 10.500, tre mesi dopo il primo caso. Quasi un terzo delle persone infette è a Tokyo, dove si teme che il sistema medico collassi. Il premier Shinzo Abe ha esteso a tutto il Paese lo stato d’emergenza e rimproverato la popolazione: non rispetta le misure di distanziamento. A fine aprile cade la Settimana d’oro con varie festività e Tokyo vuole evitare che i cittadini viaggino, diffondendo ulteriormente il virus: Abe ha così annunciato un incentivo di 100mila yen (circa 930 dollari) ai residenti, perché restino a casa.

 Gli Usa continuano a portare il fardello più drammatico al mondo, con 711mila contagi e 37mila morti. Ma per la prima volta dal 1 aprile nello Stato di New York, epicentro dell’epidemia, i nuovi morti sono scesi sotto quota 550 (+540, il totale a 13mila) e anche il numero dei ricoverati in ospedale continua a calare. Il governatore democratico, Andrew Cuomo, ha però sottolineato che i ricoveri sono ancora 2mila ogni giorno: “Non vuol dire che ci aspettino giorni felici”. E il numero complessivo dei decessi non include oltre 4mila morti a New York City, registrati come legati al Covid-19, ma non confermati da test di laboratorio. I toni del rigore continuano invece a non appartenere al presidente Donald Trump, che oltre a chiedere la “liberazione” di alcuni Stati democratici ha detto di non volere che nei suoi futuri comizi in vista delle presidenziali siano usate limitazioni: rovinerebbero “il sapore” dell’esperienza, ha detto.

 E resta alto l’allarme per l’Africa. Sono più di mille i morti per Covid-19, i casi registrati oltre 20mila, secondo i Centri per il controllo delle malattie. Cinquantadue dei 54 Paesi africani hanno contato casi e l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) ha espresso preoccupazione per l’aumento della trasmissione a livello locale. L’Africa potrebbe essere il prossimo hotspot della pandemia: modelli dell’Imperial College di Londra ritengono che nello scenario migliore, con “intenso” distanziamento sociale, si potrebbe arrivare alla morte di 300mila persone nel 2020 per Covid-19.

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