Candidati del Movimento 5 stelle fino alle elezioni, e forse anche dopo. Emanuele Dessì, Andrea Cecconi, Carlo Martelli e Catello Vitiello, sono oggi per motivi diversi nell’occhio del ciclone pentastellato, con il candidato premier, Luigi Di Maio che assicura: “Sono fuori dal movimento”. In realtà secondo la legge non è esattamente così, o almeno non lo è fino a dopo la proclamazione in Parlamento.
“I candidati una volta inseriti nelle liste, le quali sono state depositate al Viminale, non posso essere esclusi e hanno inoltre tutto il diritto di appartenere alla lista”. A spiegarlo a LaPresse il giurista, Giovanni Guzzetta, che attacca: “Non esistono dimissioni in bianco, e qualsiasi cosa è stata firmata oggi non ha alcun valore”. Insomma la lettera di rinuncia sottoscritta da Dessì, il candidato grillino a Palazzo Madama, che vive in una casa popolare a 7 euro al mese ed è finito nell’occhio del ciclone per un video in cui balla con Domenico Spada, “non ha alcun valore giuridico”, spiega Guzzetta.
Anche perché è “diritto del candidato, una volta proclamato, decidere di dimettersi non perché ha sottoscritto impegni in tal senso con il partito, ma per manifesta impossibilità”, aggiunge. La palla quindi è nelle mani dei candidati, non è il partito che ne può determinare la decadenza, ma solo ed esclusivamente l’aula di Camera o Senato, che sarà chiamata a votare, con scrutinio segreto, le dimissioni presentate dall’eletto. Lo stesso vale per Vitiello, accusato di massoneria, a cui il Movimento intende negare il simbolo. “Il candidato ha tutto il diritto di indentificarsi nel simbolo, dal momento in cui la lista è associata a quel contrassegno. Anche in questo caso non è il Movimento che d’imperio – spiega Guzzetta – può inibire il candidato dall’uso del simbolo”.
Quando gli elettori andranno alle urne, infatti, il 4 marzo, sotto il simbolo dei 5Stelle in Campania all’uninominale, troveranno il nome appunto di Catello Vitiello. L’unica cosa che può fare il movimento, spiega Guzzetta, “è espellerli o non accettarli nel gruppo in Parlamento, qualora dopo la proclamazione, se eletti, decidessero di non dimettersi o l’aula di Camera o Senato rifiutasse il passo indietro”
Qualche problema certo Di Maio potrebbe averlo con l’uninominale, a cui ambisce non solo Vitiello, ma anche Cecconi. In questo caso l’unica chance dice Guzzetta è “fare la campagna politica contro il proprio candidato, per non farlo eleggere”. Nel caso in cui fosse eletto e si dimettesse, invece, si dovrebbe poi procedere, come prevede il Rosatellum, a elezioni suppletive.