“È un decreto Dignità 2.0, migliorato rispetto a quello approvato dal Cdm qualche settimana fa”. E’ soddisfatto il ministro del Lavoro e dello Sviluppo economico, Luigi Di Maio, che alla Camera si dice entusiasta della nuova versione del provvedimento, “frutto di un lavoro condiviso del governo e delle commissioni”.
“Per il governo da oggi i diritti di chi lavora non si toccano più. Anzi, aumentano”, afferma in fase di discussione in aula. “Non intendo solo i dipendenti, mi riferisco in generale a chi si spacca la schiena ogni giorno per portare a casa il pane, tra questi anche quel 90% di piccoli e medi imprenditori che per troppo tempo lo Stato ha trattato come cittadini di serie b”. “Eliminare il precariato anziché i diritti, gioverà anche agli imprenditori“, sottolinea.
Poi torna su una delle misure che gli stanno più a cuore. “In Italia ogni forma di pubblicità sul gioco d’azzardo è morta e sepolta, come è accaduto con le sigarette”. “Mi batterò anche in sede europea per estendere questo impianto di legge anche in altri paesi, ma nel frattempo l’Italia dà l’esempio”, aggiunge. “Ben venga l’emendamento delle opposizioni che introduce l’uso della tessera sanitaria per l’acceso alle macchine – prosegue – e ben vengano tutte le proposte migliorative”.
E mentre in aula la discussione prosegue, Forza Italia da Mestre punta il dito contro il decreto, “destinato solo a creare danni”. “Mettere in difficoltà” gli imprenditori “significa creare un danno irreparabile a questo Paese. La nostra posizione è quindi di ferma contrarietà”, spiega infatti il vicepresidente Antonio Tajani in una conferenza stampa. “Abbiamo parzialmente vinto la battaglia sui voucher, ma non siamo soddisfatti”, anche se “il principio almeno siamo riusciti a farlo passare”, rimarca Tajani, che lancia poi l’allarme: “Siamo ben oltre gli 80mila posti di lavoro persi, anche 120-130mila posti in meno“.
Ancora più duro Renato Brunetta. “Il decreto Dignità, che voglio chiamare decreto Di Maio perché la parola ‘dignità’ è una parola troppo nobile, è un decreto imbroglio, un imbroglio regressivo, passatista, vetero-comunista, vetero-sindacalista, più proprio della cultura anti-impresa degli anni ’70. Siamo regrediti a quel dibattito, a quei disvalori post-sessantottini”.