In fondo, nessuno si deve sorprendere se, al momento della compilazione delle liste elettorali, Matteo Renzi ha deciso di indossare di nuovo i panni del Grande Rottamatore. Era dalla Leopolda, a fine novembre, che il segretario del Pd meditava – metabolizzato l’addio degli scissionisti – di rimettere le cose al suo posto, là dove il ‘suo’ sta per dove ritiene lui. Così, con l’intento di evitare altre spiacevoli sorprese, ha sfrondato e tagliato, blindato il ‘Giglio magico’ e, soprattutto, ‘sistemato’ la minoranza rumorosa (Orlando ed Emiliano): insomma, si è protetto le spalle perché (- gli viene da dire -) sbagliare è umano ma perseverare sarebbe diabolico.
I nomi di tutti i candidati regione per regione
Renzi ha circoscritto il pericolo rappresentato dagli scomodi e dai potenziali antagonisti, non ha avuto paura di scontentare l’amico Paolo (Gentiloni) e il compagno Marco (Minniti), ha calcolato il rischio delle prevedibilissime polemiche (gli strali di Enrico Letta), ha confermato di essere molto sicuro di sè a dispetto dei sondaggi e dei malumori dilaganti. Con quel “abbiamo messo in campo la squadra più forte“, ha dato una pedata al passato e gettato le basi per la nascita di un nuovo partito. Che sia il PdR (Partito di Renzi) o solo un altro Pd lo si capirà presto: il 4 marzo non è poi lontanissimo.
Dopo il flop del referendum, Renzi è consapevole che, se il responso delle urne dovesse essere sfavorevole, la sua leadership verrebbe messa in discussione. Sarebbe la seconda, rumorosissima débâcle consecutiva. Ma se vincesse alla faccia delle previsioni? E’ la ragione per cui, viene da pensare, questa partita ha voluto giocarla a modo suo. D’altronde, mettere un punto e andare a capo è un must di Renzi che, dal 2010 in avanti, si è dedicato con precisione chirurgica alla pratica delle rottamazioni: da Bersani a D’Alema, da Letta a Fassina; oggi siamo a Cuperlo, Latorre, Del Giudice, Manconi, Nicolini. Una spallata e si cade dalla torre senza paracadute, anche se quel “dopo tre mandati parlamentari giù dalla giostra” non funziona più, o funziona solo in parte per chi garba a lui.
L’operazione ricambio è partita con le epurazioni e ha virato sui personaggi locali (Illy, Pittella, D’Alfonso, il figlio di De Luca), particolarmente indicati per recuperare voti. Per Renzi la regola rimane la stessa: “Non è importante sbagliare un calcio di rigore ma restare in panchina”. Era il 13 settembre 2012 quando, a Verona, aveva citato Francesco de Gregori. Vale ancora oggi, con una squadra diversa e una lunghissima panchina di rancori.