Il governo a muso duro da un lato, Arcelor Mittal decisa a lasciare dall’altro. Dopo l’annuncio del colosso anglo-indiano di voler rescindere il contratto dell’Ex Ilva, non sembrano esserci passi verso una exit strategy, ma solo posizioni sempre più difficili da conciliare per salvare i 10.700 dipendenti del Gruppo. “Pretendiamo chiarezza e il rispetto degli impegni contrattuali. Saremo inflessibili”, è l’avviso del premier Giuseppe Conte, che in mattinata incontrerà “con fiducia” i vertici dell’azienda a Palazzo Chigi. Un passo non evitabile dopo la rottura di lunedì, seguita da due war cabinet di governo. A Roma è attesa l’ad di Arcelor Mittal Lucia Morselli, che nel tardo pomeriggio di ieri ha riunito i sindacati territoriali. Aperture su un ripensamento? Esattamente il contrario, visto che l’azienda ha confermato la volontà di recedere dal contratto per l’acquisizione della fabbrica, avviando la procedura di cessione di ramo d’azienda. “Un comportamento inaccettabile, irrispettoso dei lavoratori e del Governo. Qui non si tratta solo di impianti industriali da restituire ai commissari ma di persone e di famiglie che rischiano nuovamente di ripiombare nella più totale incertezza”, denuncia la Fim Cisl, che chiede come la Cgil e la Uil di disinnescare l’alibi dell’azienda. In parole povere, reintrodurre subito lo scudo penale per i manager, eliminato dal dl imprese entrato in vigore il 3 novembre. Tra le forze politiche, da Italia Viva a Fratelli d’Italia passando per il Pd, in molti invocano un decreto d’urgenza per salvare in corner l’ex Ilva. Al riguardo il governo sembra fare melina, ma dal Mise si fa sapere come “si può valutare l’inserimento di una norma di rango primario che espliciti la tutela della punibilità già presente nel nostro ordinamento, ma “senza alcuna norma ad personam per Arcelor Mittal”. “Non permetteremo ad Arcelor Mittal di ricattare lo Stato italiano mettendo sul piatto oltre 5 mila esuberi – rilancia agguerritto il ministro Stefano Patuanelli – Gli impegni vanno mantenuti e i cicli produttivi in flessione possono essere accompagnati con strumenti di sostegno, non licenziando le persone”. Il titolare del Mef Roberto Gualtieri arriva in soccorso del collega e citando Mario Draghi e il suo ‘whatever it takes’ spiega come si debba fare “tutto il necessario ed il possibile” per evitare quello che sarebbe un esito negativo e drammatico”. Ma quanto costerebbe chiudere l’Ilva in questo momento storico? La risposta la dà lo Svimez, stimando un impatto annuo sul Pil nazionale in 3,5 miliardi di euro, di cui 2,6 miliardi concentrata al Sud (in Puglia) e i restanti 0,9 miliardi nel Centro-Nord, pari allo 0,2% del PIL italiano. E la perdita occupazionale sarebbe pari a circa 51mila posizioni, contando il periodo 2019-2014 del piano industriale di Mittal. Piano siglato appena un anno fa, quando nel settembre 2018 si firmava l’accordo con governo e sindacati garantendo quasi 5 miliardi di investimenti complessivi. Ora però la crisi dell’acciaio provoca una perdita netta di 2 milioni al giorno e lo scudo penale sembra essere stato quasi un appiglio per salutare l’Italia. L’alternativa al momento non c’è, nonostante qualcuno parli di una ipotetica cordata con Jindal e Cdp con la ‘manina’ di Matteo Renzi. “Non è previsto un mio incontro con Jindal. E’ un investitore che ha fatto un bellissimo investimento a Piombino e che spero vada avanti”, nega il leader di Italia Viva. Intanto giovedì Patuanelli riferirà in aula sul dossier, diventato ormai una bomba economica e sociale capace di offuscare anche lo stallo su Alitalia.
Ex Ilva, governo a Mittal: “Saremo inflessibili”. Azienda conferma addio
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