I lavoratori dell’ex Ilva tornano in sciopero. Il confronto tra i metalmeccanici e il governo è finito con una dichiarazione di guerra da parte delle tute blu, furibonde dopo quello che definiscono “un incontro disastroso” ben al di sotto “delle già minime aspettative”. A scatenare la reazione dei sindacati non è stata solo la mancanza di risposte concrete da parte dei capi di gabinetto della Presidenza del Consiglio e dei ministri Fitto, Urso e Calderone, che allunga i tempi delle decisioni in capo al governo, ma anche la decisione di rimandare ogni ulteriore aggiornamento sulla vertenza a dopo l’assemblea dei soci di Acciaierie d’Italia, fissata il 23 novembre, abbandonando di fatto – secondo Fiom, Fim e Uilm – il destino del gruppo nelle mani del socio privato.
Palazzo Chigi esclude l’ipotesi di chiusura
Palazzo Chigi, dal canto suo, ribadisce l’assoluta esclusione di ogni ipotesi di fallimento e chiusura, parlando di “confronto franco e importante”, parte della strategia per far tornare “l’acciaio protagonista”. Ma per i sindacati non è sufficiente, così come non basta il pugno di ferro sulla sicurezza nei siti usato dall’esecutivo, che ha diffidato Mittal dal mettere in cig i lavoratori della manutenzione. E accusano: “Il governo non può essere un ostaggio e non può subordinare tutte le strategie per salvare il gruppo al responso del socio franco-indiano”. La data delle 8 ore di sciopero proclamate dai metalmeccanici è ancora da definirsi, ma sarà sicuramente entro la convocazione dell’assemblea di AdI, in cui, sostiene il segretario generale Uilm, Rocco Palombella, “si chiederà una ricapitalizzazione della società per circa 320-380 milioni” e quindi si capirà se il colosso dell’acciaio “sarà disponibile a investire ancora in Italia”. La situazione è critica e servono scelte immediate ma, per le tute blu, il governo prende tempo, attendendo un socio privato che già da tempo si è rivelato inadempiente. “Mittal – dice infatti il leader della Fiom, Michele De Palma – si sta facendo beffe anche del governo italiano. Lo Stato deve decidere se sta con i lavoratori oppure con una multinazionale che fino ad oggi non ha garantito la produzione, ha fatto cassa integrazione e ha messo a rischio la siderurgia, l’ambiente, la salute e la sicurezza delle persone“. Dall’incontro di oggi, insomma, arriva “un segnale di incertezza fortissimo”, riassume il segretario Fim, Roberto Benaglia. “Il fatto che si attenda l’assemblea per capire se Mittal tirerà fuori i soldi per ricapitalizzare lo stabilimento dà un’idea di incertezza totale”, incalza Benaglia. Per il rilancio della più grande acciaieria d’Europa servono 5 miliardi ed è “inedito, ingiusto e insostenibile che lo Stato metta 2 miliardi e 300 milioni e il socio privato – chiosa – non metta nulla”.