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Governo neutrale e elezioni? Cosa succede adesso

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Naufragato sullo scoglio di Savona, il professor Giuseppe Conte ha rimesso il mandato nelle mani del presidente Sergio Mattarella. Salvini e Di Maio hanno già sentenziato: elezioni subito e Di Maio ha fatto sapere che M5S intende mettere sotto accusa il Presidente della Repubblica. Ma tutti, adesso, cominciano a interrogarsi su cosa può succedere sul piano tecnico e politico.

1) Governo neutrale? – Non è detto che Mattarella sia obbligato a sciogliere le Camere. Può cercare, come si è visto, a partire da Cottarelli, di investire un’altra personalità che cerchi un governo in Parlamento. Quella roba, ad esempio, che Berlusconi e Meloni gli avevano proposto (centrodestra più “responsabili”) o quel “governo del presidente” o “neutrale”, o “tecnico” che sembra piacere solo a Pd e Leu. E proprio il governo “neutrale” sembra la strada scelta dal presidente della Repubblica. Un governo che potrebbe anche non avere la fiducia in Parlamento, ma si insedierebbe comunque per portare il Paese al voto. Cottarelli, teoricamente, potrebbe anche cercare una maggioranza a partire da M5S e Lega. Ma la cosa, dopo quanto è accaduto, non sembra semplice.

2) Quando alle urne – Il voto, appunto, ma quando? La legge vuole che passino da 45 a 70 giorni dallo scioglimento delle Camere per procedere a nuove elezioni, ma con la normativa sul voto all’estero, questo lasso di tempo sale da 60 a 90 giorni. Quindi, quando Salvini e Di Maio parlano di elezioni subito, in realtà devono traguardare un periodo di circa tre mesi. L’unico voto certo è quello delle elezioni amministrative del 10 giugno (762 comuni tra cui Ancona, Siracusa, Catania, Messina, Vicenza e Brescia) che servirà come partenza di una lunghissima campagna elettorale.

3) Dopo l’estate – Se Mattarella decidesse di sciogliere le Camere diciamo ai primi di giugno, i 60 giorni cadrebbero ai primi di agosto e, siccome in Italia nel mese di agosto non si è mai votato, sarebbe necessario slittare fino a settembre e, più probabilmente, fino ai primi di ottobre.

4) Il governo – Se, come si diceva, Mattarella insedierà comunque un “governo neutrale”, questo dovrebbe entrare in carica e andarsi a cercare in Parlamento una maggioranza per alcuni singoli provvedimenti. Ricordiamoci che il Def (Documento Economico Finanziario) è già stato approvato dal governo Gentiloni lo scorso 28 aprile e, pur essendo un Def assolutamente tecnico, è sufficiente per andare avanti fino alle elezioni e al nuovo governo che uscirà di lì.

C’è piuttosto da trovare la strada per approvare una norma per evitare gli aumenti dell’Iva (dal 10% al 12% quella intermedia e dal 22% al 24,2% quella ordinaria) che scatterebbero dall’1 gennaio 2019 e gli ulteriori rincari (13 e 24,9 per cento) dall’1 gennaio 2020. Servono 12,4 miliardi per il primo intervento e 19,1 per il secondo. Si tratta delle cosiddette “clausole di salvaguardia” che servono per “salvaguardare” i vincoli Ue di bilancio dalle spese previste, in sostanza per tutelare i saldi di finanza pubblica. Ogni anno, dal 2011 in poi, il governo ha dovuto trovare una cifra considerevole per evitare l’aumento dell’Iva che sarebbe devastante per la nostra economia. Per ora c’è sempre riuscito e l’Iva è rimasta al 22%. Anche quest’estate sarà necessario trovare i soldi. A parole tutti i partiti sono d’accordo ma è chiaro che in questa situazione di scontro politico durissimo, tutto può succedere. Quanto al bilancio dello Stato vero e proprio, con tutto quello che comporta (e con il rischio dell’esercizio provvisorio se non fosse approvato entro la fine dell’anno), ci dovrebbe essere tempo perché lo approvi il nuovo governo che uscirà dal voto politico dopo l’estate.

5) L’accusa al Presidente – Si vocifera già di messa in stato d’accusa (o “impeachment”) del Presidente della Repubblica. I M5S ne hanno parlato subito forse senza valutare appieno quanto sia complessa la procedura per mettere sotto accusa il Capo dello Stato. Intanto, si dovrebbe stabilire il tipo di “reato” di cui Mattarella verrebbe accusato: “Alto tradimento”? “Attentato alla Costituzione”?. Il primo è da escludere, quindi resterebbe il secondo. A quel punto, una volta cioè presentati titoli e motivi dell’accusa, si dovrebbe formare una commissione di 20 tra deputati e senatori scelti tra le giunte per le autorizzazioni a procedere dei due rami del Parlamento. La commissione decide se archiviare subito o sottoporre la questione al Parlamento in seduta comune. La decisione in Parlamento va presa a maggioranza assoluta (477 voti in tutto). A quel punto, se ci fosse una maggioranza per la messa in stato di accusa, la questione passerebbe alla Corte Costituzionale che diventerebbe (in una composizione particolare: 15 giudici togati e 16 cittadini “aventi i requisiti per essere eletti al Senato”) un vero e proprio tribunale che, alla fine, dopo testimonianze, dibattitmento ecc. dovrebbe sentenziare e assolvere o condannare il presidente della Repubblica. Procedura lunga, tutt’altro che semplice e dall’esito del tutto incerto.

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