Di Donatella Di Nitto
La crisi è conclamata, anche se non ancora formalizzata. E Matteo Salvini punta forte sul rimpasto. Via Danilo Toninelli, Elisabetta Trenta e Sergio Costa, per continuare l’esperienza giallo-verde. Altrimenti sarà voto. “Negli ultimi mesi qualcosa si è rotto nel governo, da quando sono cominciati ad arrivare i no – dice il Capitano dalla piazza di Sabaudia – Cosa succederà? Io non sono fatto per le mezze misure, se è bianco è bianco, se è nero è nero, o le cose si fanno per intero, in maniera efficace e veloce, altrimenti stare a scaldare la poltrona non fa per me”. Un messaggio che arriva forte e chiaro dopo una giornata convulsa, con il leader del Carroccio che mette “a disposizione degli italiani” i suoi sette ministri “perchè tenerci i ministeri per non riuscire a fare le cose non ci interessa, o facciamo 100 su 100 o non ci interessa”.
Nessun “rimpastino, perché non ci interessano due poltrone in più o due in meno” insiste Salvini, ma le voci parlano di un accordo di massima sulle sostituzioni di tre elementi, ma della rimozione di un quarto, il più pesante di tutti, il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, contro il quale il segretario della Lega aveva avuto molto da ridire nelle scorse settimane, quando il responsabile del Mef frenò sull’ipotesi di una “corposa riduzione della pressione fiscale”, su cui però Salvini si sta giocando l’osso del collo (politico, ovviamente). Insomma bisogna rimuovere gli ostacoli, è il ragionamento del leader del Carroccio, che impediscono al governo di procedere sulla strada dei “sì”.
Il dato che consegna alle cronache l’ultimo giorno di lavoro del Parlamento è che il governo giallo-verde sembra vicinissimo al punto di non ritorno, e proprio di questo il leader della Lega ha discusso con il premier Giuseppe Conte in 50 minuti di colloquio a palazzo Chigi, definito dalle fonti ufficiali con le ‘convenevoli’ parole d’ordinanza: lungo, cordiale e pacato. Dopo il voto sulla Tav è infatti il vicepremier leghista ad avere in mano le sorti dell’esecutivo, avendo caricato di importanza una semplice mozione, non vincolante, e aver aperto sulla stessa ‘la questione politica’. O si va avanti o si chiude, un out out ma anche dilemma che attanaglia il capo del Viminale per tutto il pomeriggio. I 5Stelle sono stati messi in un angolo diventando da primo partito in Parlamento a partito di minoranza al cospetto di una maggioranza insolita, incredibile e nello stesso momento morta poco dopo la sua nascita. I due contraenti del contratto di governo si separano, votando l’uno contro l’altro e alla fine la sintesi la fa proprio il capogruppo del carroccio, Massimiliano Romeo che sentenzia: “Ci saranno conseguenze”.
Palazzo Madama chiude i battenti, la sconfitta di Luigi Di Maio è scritta nei tabulati di fine seduta. Salvini sparisce dai radar, come del resto il capo politico pentastellato. Il titolare dell’Interno annulla la tappa pomeridiana del suo Beach tour ad Anzio, ma mantiene quella di Sabaudia in serata. A Roma, in una torrida giornata agostana, si attende il verbo, la decisione del Capitano. Anche Giuseppe Conte si chiude in un assordante silenzio. Fonti a lui vicine non escludono un passaggio al Quirinale, dove in realtà quasi si aspetta una visita del premier, ma neanche ne danno conferma. Lavora tutto il pomeriggio nel suo studio da cui si ribadisce la linea: “La votazione sulla mozione-Tav non prefigura in alcun modo un sindacato sull’operato del Governo né tantomeno sull’operato del Presidente del Consiglio”. Alla fine a palazzo Chigi compare Salvini, si chiude nella stanza di Conte, mentre Luigi Di Maio si tiene a debita distanza, anche se a pochi passi dal colloquio. L’accordo di massima è quello su una ‘revisione’ della squadra, visto che quella sulla Tav ormai è da accantonare. E il capo politico pentastellato avrebbe dato l’ok. Salvini a fine giornata non scioglie la riserva e rimanda alla fine tutto a giovedì. Indicativo lo sbianchettamento delle agende di premier e vicepremier. Conte rinvia a data da destinarsi la conferenza stampa di saluto prima della pausa estiva, mentre il titolare del Viminale annulla le tappe in Abruzzo, mantenendo solo quella delle 21 a Pescara. Plausibile un vertice a tre per mettere nero su bianco un esecutivo forse tornato a ‘nuova vita’.