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Governo, torna pressing Pd su M5S per regionali: Conte stretto nella morsa

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Le prossime elezioni regionali sono ancora un caso aperto nella maggioranza. Nicola Zingaretti torna sul tema e riposiziona il Partito democratico in una discussione che, evidentemente, non ha trovato il suo epilogo. “Confermo che decidono le Regioni, però un’alleanza che governa l’Italia e che ha l’ambizione di segnare la prossima elezione del presidente della Repubblica, dovrebbe almeno provare a unirsi nelle Regioni” dice il segretario dem parlando dalla Conferenza delle donne democratiche. Il governatore del Lazio sa che lo smembramento dell’entità giallo-rossa – benchè creata per dovere di Stato – favorirebbe i sovranisti guidati da Matteo Salvini e Giorgia Meloni: “La destra ha scelto spesso candidature del passato, si è unita riproponendo figure già bocciate dagli elettori. Quindi si può vincere e, lì dove è possibile, almeno proviamo a fare insieme un passo avanti per salvare questo Paese”.

Una mano tesa che però viene letta dagli alleati di governo come un modo per rilanciare la palla nell’altra metà campo. Il Movimento 5 Stelle, dilaniato dal ritorno di Alessandro Di Battista, non ha mai chiuso la porta ma, viene riferito, “non è mai stato discusso un candidato condiviso”. Una cosa è certa, spiegano fonti pentastellate, “non siamo disponibili ad accettare due candidati che si sono autoproclamati”, senza però che il Nazareno dicesse né si né no. Insomma Michele Emiliano e Vincenzo De Luca sono fuori da qualsiasi trattativa, mentre in Liguria – dove il Pd ha evidenti difficoltà – i 5S aspettano ancora si sciolga la riserva su Ferruccio Sansa.

Tuttavia il tema più scottante, e quello anche a breve scadenza, resta il Mes. Anche qui la linea Dibba sta alzando non poca polvere, tanto da poter ridurre la soglia di autonomia in Senato su cui poggia l’esecutivo. Il vero banco di prova è quel fondo Salva Stati che ironia della sorte somiglia tanto alla mozione sulla Tav che fece saltare il governo giallo-verde proprio in pieno solleone lo scorso anno. Un pericoloso déjà vu che i governisti stanno tentando di arginare, cercando un escamotage che magari eviti il voto e non smascheri le differenze sul tema tra Pd e M5S. A questo si aggiungono le voci insistenti di ‘manovre’ al Nazareno per indebolire sempre di più Zingaretti e fornire al partito una valida alternativa, oltre a quelle parallele per depotenziare Giuseppe Conte e farlo uscire dal portone principale di palazzo Chigi. Rumors di palazzo parlano di una sopravvivenza al massimo fino a gennaio, “prima del semestre bianco ovviamente” perché in caso contrario Mattarella avrebbe le mani legate. E chi invece è pronto a scommettere su una crisi – senza urne – dopo il referendum sul taglio dei parlamentari per rimescolare le carte sia ai vertici di Pd e M5S che in quelli dell’esecutivo.

Il premier, chiamato dall’alleanza post Papeete, doveva fare da mediatore tra le due anime della maggioranza, ma ancora non è riuscito a fare la sintesi con i ‘rossi’, decisi a far uso del fondo sanitario e sempre più ‘irritati’ dal sui continui “ci penso io” e i 5Stelle che non si risparmiano nelle dichiarazioni di contrarietà. La discussione in Parlamento è praticamente dietro l’angolo ed è chiamata a gran voce dal centrodestra. “Ieri il presidente del Consiglio Conte ha detto che sara’ l’Italia a decidere – insiste la leader di Fdi, Giorgia Meloni – Bene, ma il luogo dove queste decisioni si prendono è il Parlamento e deve essere il Parlamento a votare gli indirizzi al Governo prima della prossima riunione del Consiglio europeo. La posizione di Fratelli d’Italia è chiara: il Mes è una trappola e l’Italia non deve caderci dentro”. “La Germania fa tifo per Mes? Controprova che è una fregatura” tuona Matteo Salvini dalle Marche.

Unica voce fuori dal coro della coalizione, Antonio Tajani: “Serve utilizzare il Mes, 37 miliardi per migliorare la nostra sanità, per renderla più efficiente. E non è un capriccio del governo questo, è il Parlamento che dovrà decidere. Noi voteremo a favore”.

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