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Gregoretti, numeri in bilico su processo a Salvini. Italia viva ago della bilancia

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Il caso Gregoretti alza il livello dello scontro fra Matteo Salvini e la maggioranza, ma non solo. La richiesta di autorizzazione a procedere nei confronti dell’ex ministro dell’Interno rischia infatti di diventare un nuovo ‘casus belli’ tutto interno ai giallorossi.

La data da cerchiare è quella del 20 gennaio. Sarà con tutta probabilità quello il giorno in cui ladeciderà se dare il via libera alla richiesta di autorizzazione a procedere avanzata dal tribunale dei ministri di Catania. In questo mese però non si escludono sorprese. Se il M5S ha già più volte ripetuto di voler prendere una strada opposta rispetto al caso Diciotti questa volta l’ago della bilancia è Italia Viva. A conti fatti la situazione è limpida: senza l’ok dei tre rappresentanti del partito di Renzi, Francesco Bonifazi, Giuseppe Cucca e Nadia Ginetti, la richiesta sarà respinta. Una posizione di favore nella quale Iv si trova dopo la scissione dal Pd che, suo malgrado, è rimasto con un solo rappresentante in Giunta. E i renziani non hanno nessuna intenzione di anticipare le loro mosse. Premessa la condanna ai “decreti insicurezza” e al “comportamento tenuto da Salvini” i parlamentari di Italia Viva, prima di decidere, vogliono vederci chiaro. “Leggeremo le carte e decideremo, senza isterismi e senza sventolare cappi e manette, come si fa nei paesi civili”, sentenzia il capogruppo al Senato, Davide Faraone.

Nel frattempo il leader della Lega prosegue con la strategia difensiva che sa interpretare meglio: quella dell’attacco a testa bassa. “Se sarà processo, idealmente con me in quel tribunale ci saranno milioni di italiani”, dice prima di pungolare direttamente i magistrati di Catania: “Vorrei sapere quanto costa al popolo italiano questa vergogna. Ci sono centinaia di pagine, ore di lavoro. Io ho difeso i confini, la sicurezza e l’orgoglio del mio Paese. Inseguite i mafiosi piuttosto che rompere le palle a uno che fa il suo lavoro, manco fossi Totò Riina..”.

Ma è anche sulla ricostruzione dei fatti che il capo del Carroccio punta per avvalorare la sua tesi. Secondo Salvini la decisione di lasciare tre giorni in mare la nave con 131 persone a bordo, prima di concedere un porto di sbarco il 31 luglio scorso, è stata condivisa da tutto il governo gialloverde. Nessun sequestro di persona, quindi, ma una decisione politica collegiale e non autonoma. A tal proposito, secondo fonti leghiste, Salvini avrebbe conservato copia delle interlocuzioni scritte avvenute a proposito. Si tratterebbe di numerosi contatti anche tra ministero dell’Interno, Presidenza del Consiglio, ministero degli Affari Esteri e organismi comunitari. Materiale che sarebbe al vaglio dei legali del leader della Lega, pronti a diffonderlo al momento opportuno.

Inoltre il Carroccio fa riferimento a una dichiarazione televisiva del ministro della Giustizia, Alfonso Bonafede, proprio del 30 luglio in cui parlava di “dialogo fra ministeri” e di una posizione comune del governo. Proprio lo stesso Guardasigilli che ha confermato come “ci siano i presupposti” per dare parere favorevole al processo. Salvini, dal canto suo, lo ha invitato a dimettersi. I nodi verranno al pettine entro un mese, Italia Viva permettendo.

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