C’è un Salvini durissimo pronto a chiudere le frontiere terrestri dell’Italia. C’è un Salvini duro e determinato: “Non inghiottiremo compitini già fatti. Conte potrebbe non andare a Bruxelles al vertice sui migramnti”. C’è un Salvini sprezzante: “Macron e Sanchez sono due chiacchieroni”. C’è un Salvini ottimista e proattivo che “rimanda” Conte a Bruxelles e afferma: “Sono ottimsta. Spero troveremo un accordo su tutto”. Quattro Salvini molto diversi tra loro (e a cercar bene ce ne sarebbero anche altri per tutte le gradazioni) nell’arco di dodici ore e sullo stesso tema, quello dei migranti. Cambiano le sedi (Porta&Porta, conferenza stampa con il vicepremier austriaco, Agorà) e cambiano le posizioni del vicepremier e ministro degli Interni che, a seconda dell’interlocutore e della domanda, offre una posizione diversa.
Il Salvini che aveva mandato ieri sera il Paese a dormire, sembrava davvero implacabile:
“Se in Ue qualcuno pensa che Italia sia un campo profughi si sbaglia”, ha detto, parlando in occasione della conferenza stampa congiunta con il vicepremier e il ministro dell’Interno austriaci. “Dobbiamo usare soldi e uomini per difendere le frontiere esterne, come già si fa sul confine balcanico. La vera proposta sarà quella italiana”, ha aggiunto. E, più tardi, a Porta a Porta ha minacciato: “Se andiamo a Buxelles per avere il compitino già scritto da Francia e Germania, se pensano di mandarci altri migranti invece di aiutarci, allora non andiamo nemmeno. Risparmiamo i soldi del viaggio”.
La questione, dal punto di vista politico e dei contenuti, sarebbe poi anche abbastanza chiara: nel vertice di Bruxelles (domenica e, poi, giovedì in sede decisionale) si dovrebbero affrontare le modifiche al trattato di Dublino. L’Italia (ma queste cose non le dice solo Salvini, perché le aveva già portate avanti il suo predecessore Minniti facendosi, per questo, molto criticare da sinistra) vuole che si superi davvero il principio del “Paese d’accesso” (quasi sempre Italia o Grecia) che si fa carico dall’inizio alla fine del richiedente asilo e che ci sia una redistribuzione “pro quota” tra tutti i 27 paesi dell’Unione, compresi quelli di Visegràd (che Salvini considera amici) i quali non hanno nessuna intenzione di prendersi in carico una quota di richiedenti asilo. Ne è prova l’incredibile legge approvata ieri dall’Ungheria di Orban (chiamata “Stop Soros”) che punisce col carcere chi aiuta un migrante clandestino. Su questo Salvini è stato equidistante e se l’è presa anche con l'”amico” ungherese:
Orban ha ragione “quando dice che bisogna proteggere le frontiere esterne dell’Europa, ha torto, lui come altri, quando l’Italia viene lasciata sola”.
Il senso delle sparate salviniane di ieri era avvertire tutti che l’Italia non ha nessuna intenzione di cedere sulla questione delle quote e dei “secondary movements” (ossia degli spostamenti dei migranti all’interno dell’Unione). C’è la disponibilità a discutere su hot spot, piattaforma d’arrivo extraeuropea e quant’altro, ma non prima di aver definito le quote e i secondary movements. Su questo, si diceva, ieri sera, Salvini sembrava pronto alla guerra. Soprattutto sembrava pronto a fermare il premier Giuseppe Conte in partenza per Bruxelles nel fine settimana.
Questa mattina, però, ad Agorà, si è presentato un altro Salvini, molto più conciliante. L’agenda dei viaggi di Conte è restituita al suo legittimo proprietario e Salvini, ha detto:
“Il presidente del Consiglio andrà domenica e poi giovedì prossimo a Bruxelles: o c’è una proposta utile a difendere i confini e la sicurezza, e i rifugiati veri, oppure diciamo no”. Appunto: si può dire di no, ma è molto diverso che non andarci. E poi: “Sulla carta son tutti d’accordo con noi, vediamo se dalle parole passerà ai fatti. Conte ha il totale sostegno per andare a discutere qualcosa di utile per il nostro Paese”. E ancora:
“Io sono ottimista e penso che troveremo un accordo su tutto”.
Quindi, adesso, Conte e l’Italia sono di nuovo disposti (su “precisa” indicazione di Salvini) alla trattativa. Ovviamente fermi sulle nostre posizioni, ma a Bruxelles, diamine, si deve andare. Chi ha mai detto il contrario?