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Ictus, il tempo fattore determinante per salvare i pazienti

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Avere più tempo per somministrare il trattamento che può salvare dall’ictus cerebrale: il Congresso dell’European Stroke Organisation evidenzia un notevole passo avanti in questa direzione. Aumentare le possibilità di recupero e limitare le conseguenze disabilitanti causate dall’ictus cerebrale intervenendo con la trombolisi, cioè con la somministrazione di un farmaco capace di disostruire l’arteria cerebrale occlusa, entro le prime 4,5 ore dalla comparsa dei sintomi o con la trombectomia meccanica (utilizzando cioè device meccanici per via endovascolare) entro le prime 6. Queste le finestre temporali entro le quali oggi si può intervenire per limitare i danni dell’ictus cerebrale, patologia che, nel nostro Paese, colpisce circa 150.000 persone ogni anno. Quella cerebrovascolare è, infatti, una patologia tempo-dipendente: indipendentemente dalla gravità del quadro clinico, è fondamentale che, in presenza dei sintomi dell’ictus, la persona venga trasportata dall’ambulanza del 112 al Pronto Soccorso dell’Ospedale dotato di Unità Neurovascolare (Stroke Unit) più vicino.

Dal Congresso ESOC arriva invece la notizia che il trattamento trombolitico può essere somministrato, con buoni risultati, entro una finestra temporale più lunga – che può arrivare fino alle 9 ore dopo la comparsa dei sintomi – in pazienti selezionati con l’utilizzo delle più recenti tecniche di neuroimaging. “L’efficacia della terapia dipende dal tempo – conferma Danilo Toni, Presidente dell’Italian Stroke Organization e Direttore Unità di Trattamento Neurovascolare e Neurologia d’Urgenza Policlinico Umberto I di Roma. È stato dimostrato che la mortalità, il rischio di emorragie intracraniche e le disabilità permanenti diminuiscono in maniera significativa ogni 15 minuti giocati in anticipo sull’ictus”.

Nel corso del Congresso è stata ribadita l’importanza dei 7 campi inseriti nel Piano di Azione per l’Ictus in Europa 2018-2030: prevenzione primaria, organizzazione dei servizi dell’ictus, gestione dell’ictus acuto, prevenzione secondaria con follow up organizzato, riabilitazione, valutazione degli esiti e della qualità dei servizi, la vita dopo l’ictus. “Il Piano di Azione, al quale hanno aderito tutti i Paesi Europei, ha sicuramente degli obiettivi ambiziosi, come la riduzione del numero assoluto degli ictus in Europa del 10%, il trattamentodi almeno il 90% dei pazienti colpiti in una Unità Neurovascolare (Stroke Unit) come primo livello di cura e la creazione di piani nazionali specifici che comprendano tutto il percorso, dalla prevenzione primaria fino alla vita post ictus – dichiara la Dottoressa Francesca Romana Pezzella, neurologo presso la Stroke Unit dell’Ospedale San Camillo di Roma e delegata Alice Italia per Safe, Eso e Wso e selezionata dal Direttivo ESO come co-chair (cioè co-Presidente) per la implementazione dell’Action Plan in Europe nel triennio 2018-2021. Dobbiamo considerare che, in base ai dati raccolti nello studio Burden of Stroke – Impatto dell’Ictus in Europa (pubblicato nel 2017), si stima che entro il 2035 si verificherà complessivamente un aumento pari al 34% del numero totale degli eventi cerebrovascolari acuti nell’Unione Europea e che, conseguentemente, salirà anche il numero delle persone che dovrà convivere con gli esiti di una patologia che diventa cronica”.

 

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