Mario Draghi spacca il centrodestra. Le diverse anime della coalizione alla fine prevalgono, come ampiamente preannunciato, e l’alleanza si disperde andando in ordine sparso. L’endorsement, quasi scontato, che rischiava di essere tardivo, arriva proprio da Silvio Berlusconi che esce dall’ambiguità delle ultime settimane, dettando la linea di Forza Italia: “Un’antica stima mi lega a lui. È naturale dunque da parte nostra guardare senza alcun pregiudizio al tentativo del presidente incaricato, al quale proporremo – nella naturale prosecuzione di un atteggiamento responsabile che contraddistingue l’azione di Forza Italia – idee e contenuti”. Il Cav non può che prendersi il merito di aver sponsorizzato fin dall’inizio, tra una giravolta e l’altra, “un governo dei migliori” e Draghi ha tutte le carte in regola per formare “una squadra di governo di profilo adeguato all’enorme impegno che l’esecutivo avrà di fronte e che rappresenti davvero le migliori energie del Paese e ci aspettiamo ovviamente anche un programma all’altezza delle esigenze e delle aspettative della Nazione”.
Una nota attesa, soprattutto dall’ala moderata di Fi che, raccontano, è stata per ben due volte bloccata, rimaneggiata e alla fine ha preso vita grazie a una via di mezzo che , come sempre, dà un colpo al cerchio e l’altro alla botte. Le spinte centripete nel partito per non sprecare questa occasione – con il sottotitolo ‘per uscire dall’aura sovranista di Salvini’ – si erano fatte sempre più costanti con Mara Carfagna pronta a ritornare in gioco in prima persona. E’ proprio la vicepresidente della Camera la prima a uscire allo scoperto ricordando la storia di Forza Italia fondata su “valori liberali, garantisti, patriottici ed europeisti”, che da soli “possono aiutare Mario Draghi a rimettere in piedi l’Italia”, scandisce. “Per questo – insiste -la nostra scelta sul sostegno al nuovo governo appare fin troppo semplice”. Carfagna sa che L’Italia ha bisogno di Draghi e che non possono esserci “ma o se” che ne intralcino il cammino, tantomeno può pensare che Fi si spacchi per una alleanza che ha come unico obiettivo fagocitare gli azzurri in una prospettiva sovranista, che non appartiene alla storia stessa di Berlusconi. Alla fine l’uomo di Arcore raccoglie le pressioni e le fa sue, evitando che la sua creatura deflagri. Sarà infatti proprio l’ex premier a guidare la delegazione di Fi alle consultazioni con Draghi, domani alle 17,30 a Montecitorio. Fonti azzurre riferiscono che le richieste da diversi parlamentari sono arrivate fino in Provenza, dove il leader azzurro si trova dall’inizio della pandemia, ospite della figlia Marina, e non è stato difficile convincerlo. “Super Mario” insomma può contare sul ‘sì’ alla fiducia di tutto il partito, e questo non era scontato viste le pressioni degli azzurri più vicini alla Lega che fino alla fine hanno giocato la partita dell’unità della coalizione.
E se Berlusconi con tutti gli acciacchi e le divisioni interne alla fine è riuscito a tenere il gruppo coeso, lo stesso non si può dire per Matteo Salvini. Il leader del Carroccio si è trovato col classico cerino in mano e tirato per la giacchetta soprattutto dalle ‘colombe’ che spingono per una posizione pro-Draghi, come appunto Giancarlo Giorgetti e Luca Zaia. Salvini può rivendicare sicuramente di aver tenuto ferma l’alleanza sul ‘no’ a Giuseppe Conte, aiutandolo a fare gli scatoloni e uscire da Palazzo Chigi. Sull’ex presidente della Bce, tuttavia, non ha ancora deciso: “Draghi dovrà scegliere tra Grillo e la Lega. In base alle risposte che avremo, faremo le nostre scelte. E qualunque sarà, sarà la scelta di tutti a differenza di altri dove ci sono correnti interne, fuoriusciti e ripensamenti. La Lega quando sceglie si muove come un sol uomo”. Chi invece non ha dubbi è Giorgetti, che segna quella sottile linea rossa che definisce le due entità del Carroccio: quella che vuole contare a livello internazionale e non può dire di ‘no’ a Draghi e quella ancorata a dettami antieuropeisti. “Draghi è un fuoriclasse come Ronaldo. Uno come lui non può stare in panchina”, sentenzia l’ex sottosegretario, lasciando intendere che sul governissimo dell’uomo del ‘whatever it takes’ non c’è neanche da interrogarsi. L’ipotesi più probabile – emerge da fonti di via Bellerio – è che alla fine la Lega sostenga Draghi con ‘condizioni’, come ribadisce il segretario: “Se dovessero presentarmi il governo Conte, Di Maio, Boschi, Boldrini, Speranza e Azzolina, è chiaro che sarebbe complicato governare con chi mi ha mandato a processo”.
Non si scompone invece Giorgia Meloni. Lei il passo per tenere salda la coalizioni lo ha fatto nella riunione fiume di ieri quando, viste le numerose ambiguità e i tentennamenti sulla strada del voto anticipato, era anche disponibile a sposare la strada dell’astensione. Con il liberi tutti, la leader di Fdi ribadisce il già rimarcato: “La fiducia al governo di Mario Draghi sicuramente non la voto. Se poi portasse dei provvedimenti che io condivido per il bene dell’Italia io li voto”. E sulla spaccatura che si è creata nella coalizione non ha dubbi: “Sopravviverà a mille intemperie”. E poi la bordata: “Non capisco Salvini quando dice ‘Draghi scelga tra Lega e M5S” perché il Pd va bene?”, si chiede provocatoria.