“Le prometto che non la farò cantare. Fu così che Luciano Rispoli mi propose di collaborare con lui alla sua trasmissione Parola Mia. Una proposta che mi fece al telefono mentre tenevo un corso in Finlandia. Certo io non mi sarei mai aspettato che mi chiamassero per un programma in Tv. Luciano nel mondo della televisione si distingueva per il suo garbo e per il suo interesse autentico per i temi dell’educazione e della divulgazione culturale”. A ricordare così Luciano Rispoli è Gian Luigi Beccaria, linguista, che ha insegnato all’Università di Torino, saggista e critico letterario che tra il 1985 e il 1988 su Rai 1, e poi tra il 2002 e il 2003 su Rai 3, ha partecipato, come giudice-arbitro del gioco, al programma TV ‘ Parola mia’, condotto dal giornalista e storico volto del piccolo schermo scomparso questa notte all’età di 84 anni .
Come funzionavate lei e Rispoli come coppia televisiva?
Benissimo, si creò subito una sintonia, fui accolto in un modo stupendo da lui, dallo studio del programma, dai cameramen, dai tecnici delle luci. E mi misero a mio agio.
E come si trovò lei, professore, non in cattedra, ma in uno studio davanti a un pubblico di telespettatori a parlare della lingua italiana?
La scommessa era rendere gradevole e divertente la cultura in televisione. Attinsi alla mia esperienza di insegnante e poi la partecipazione a quel programma dopo mi portò a scrivere i libri con più attenzione al fatto di rendere facili le cose complesse, senza tecnicismi.
Oggi in una società come la nostra si pone il problema di tanti stranieri immigrati in Italia che devono imparare l’italiano. Pensa che un programma Televisivo potrebbe essere utile?
Sì, credo di sì. La lingua italiana è amatissima: è la quarta più studiata nel mondo, anche se noi la lasciamo andare un po’ a ramengo e stiamo perdendo la capacità di argomentare.
Che rapporto aveva creato con Rispoli?
Lo sentivo al telefono praticamente ogni mattina presto. Si divertiva con le parole e non gli sfuggivano i neologismi che comparivano sui giornali, nei titoli. Mi chiamava per commentarli. Mi ricordo ancora che ci divertimmo con il termine ‘saccopelisti’. E ci saremmo divertiti ancora oggi con uno degli ultimi neologismi come ‘ammartaggio’.