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Inchiesta Covid, Conte e Speranza ai giudici: “Errori di Crisanti e piano 2006 era inefficace”

Piano pandemico 2006 “totalmente inefficace” e “grave errore del consulente Crisanti” che ha “indotto la Procura a seguirlo”. Si sono difesi nel merito dalle accuse di omicidio ed epidemia colposi e rifiuti d’atti d’ufficio l’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, e l’ex ministro della Salute, Roberto Speranza, davanti al Tribunale dei Ministri di Brescia per l’inchiesta della Procura di Bergamo con 19 indagati sulla gestione della pandemia. I due ex dell’Esecutivo giallo-rosso rispondono per la mancata istituzione della zona rossa (Conte) e attuazione del piano pandemico (Speranza). Al collegio presieduto dalla giudice Mariarosa Pipponzi il leader dei Movimento Cinque Stelle ha parlato per un’ora rispondendo “a tutte le domande” perché “oggi ha i documenti che quando è stato sentito il 12 giugno 2020 non aveva”. “Soprattutto – ha aggiunto – non aveva, perché non lo avevano nemmeno i pm, il verbale del 2 di marzo (del Cts, NdR)” e “la nota informale del 2 di marzo” ha detto rispetto al fatto che l’ex premier, sentito per la prima volta dagli inquirenti bergamaschi, avesse dichiarato di essere venuto al corrente della situazione epidemiologica in Val Seriana solo dal 5 di marzo “Quell’appunto informale” non “era agli atti” e Conte lo “ha commentato e spiegato la sua posizione di quel giorno”. Decisa la presa di posizione degli avvocati di Speranza, sentito per 30 minuti e che ha depositato una lunga memoria. Il piano pandemico 2006 “era totalmente inefficace per combattere il Covid” e “sul perché non fosse stato rinnovato” va chiesto “a chi c’era nei 13 anni precedenti” affermano il professor Guido Calvi – già parlamentare per tre mandati e membro del Csm – e l’avvocato Danilo Leva. L’ex ministro ha tenuto una “condotta rigorosa” prendendo “tutti i provvedimenti a cominciare dal blocco dei voli dalla Cina”. “L’Oms solo il 30 di gennaio fa scattare le necessità di passare da una fase a un’altra più avanzata, quella del 5 gennaio era una raccomandazione” non vincolante, hanno concluso con riferimento all’imputazione di rifiuto d’atti d’ufficio. Ora il Tribunale dei Ministri ha 90 giorni per decidere se archiviare o chiedere l’autorizzazione a procedere al Parlamento nei confronti dell’ex premier e dell’ex ministro indagati “in cooperazione” con i vertici della sanità italiana e lombarda e bergamasca dell’epoca, per alcuni dei quali risultano accuse di abuso e rifiuto d’atti d’ufficio, falso ideologico e materiale, lesioni. Tra le principali accuse la mancata estensione della zona rossa in Val Seriana nelle riunioni del Comitato tecnico scientifico del 26-27-28 febbraio 2020, proporre solo “misure integrative” in quelle del 29 febbraio e 1 marzo e la mancata attuazione del piano pandemico – sebbene non aggiornato – e del piano Covid elaborato da alcuni componenti del Cts coordinati dal professor Stefano Merler e al quale già dalla riunione del 20 febbraio si era deciso di attenersi. L’indagine sui vertici di Regione Lombardia riguarda anche le mail con cui venne chiesto il “mantenimento delle misure di contenimento” nonostante la “consapevolezza” della situazione epidemiologica. Il tribunale dei Ministri dovrà decidere sulla propria competenza rispetto a Conte e Speranza – per i quali non è ancora definito se saranno chiamati a loro volta a comparire nelle prossime settimane – in base a un’innovativa interpretazione giuridica dei concetti di “cooperazione” o “concorso” in un reato. In alternativa bisognerà trasferire nuovamente gli atti al tribunale di Bergamo. 

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