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INTERVISTA Welsh a ‘Tempo di Libri’, da Trainspotting alla Brexit

Negli anni Novanta Irvine Welsh folgorò un’intera generazione, quella parte di ragazzi non ancora uomini che si fece contaminare dal nichilismo ‘acido’ e inquieto predicato (e vissuto di pancia e di testa) da quattro coetanei di Edimburgo. Violenta, morbosa, cruda, la storia di Renton, Sick Boy, Begbie e Spud è la storia della ‘generazione Trainspotting’ che oggi, a più di 20 anni dall’uscita del romanzo culto di Welsh, fa i conti con una società (s)travolta da crisi economiche, terrorismo, migrazioni e guerre. È stato il nuovo film di Danny Boyle, ‘Trainspotting 2‘, uscito a febbraio, a riannodare il filo immaginando – in una rilettura di ‘Porno’ (Guanda) – il sequel di quelle quattro vite instabili e non integrate della working class scozzese. Insomma, materiale umano perfetto per uno scrittore che narra il fallimento attraverso l’iperbole e il grottesco. “Nell’immediato mi preoccupa la sconfitta dell’Hibernian (la squadra di cui è tifoso, n.d.r.) contro l’Aberdeen in Coppa di Scozia”, scherza ai microfoni di LaPresse lo scrittore scozzese, nato a Leith nel 1958, tra i grandi ospiti di ‘Tempo di libri‘ a Fiera Milano a Rho. Poi risponde seriamente alla domanda sulla crisi del mondo occidentale: “Mi colpisce e mi preoccupa il probabile collasso del lavoro retribuito, una cosa difficile da prevedere perché è sempre stata una certezza in tutte le società. Ora invece abbiamo bisogno di sviluppare un’economia che riesca a creare e a condividere il profitto e a sviluppare solidi rapporti sociali”. A differenza di quanto succedeva negli anni ’80-’90, Welsh fatica a trovare un simbolo che rappresenti i giovani di oggi: “Nel nuovo millennio c’è stato un appiattimento culturale, nonostante l’avvento di Internet. La globalizzazione ha impedito un forte sviluppo a livello intellettuale e ha creato saturazione. Forse però un modello c’è, sono gli scrittori e i musicisti di talento che ad esempio a Londra spiegano ai ragazzi come sfidare la società in cui vivono”. Una sfida è rappresentata anche dalla Brexit, tema importante per Welsh che però non ha partecipato al voto referendario. “L’idea del divorzio della Gran Bretagna da Bruxelles si è formata negli ultimi 30 anni, sotto i diversi governi, ed è legata alle difficoltà economiche e sociali della classe operaia. Perciò era una decisione quasi inevitabile. Paradossalmente la Brexit potrà anche avere un impatto positivo sull’Unione europea, potrà aiutarla a diventare una federazione per i cittadini e non essere solo una struttura transnazionale per le multinazionali globalizzate e per le banche”. E sull’indipendenza della Scozia grazie a un nuovo referendum dice: “Nei prossimi mesi può succedere di tutto, posso morire o ammalarmi gravemente. E questo vale anche per la politica. Di certo c’è un forte movimento per la Scozia come Stato indipendente in Europa, ed è una cosa che riguarda anche l’Inghilterra che sta cercando di liberarsi dal lascito del Regno Unito”. Welsh vive per gran parte dell’anno negli Stati Uniti, a Chicago; una postazione privilegiata per osservare l’impatto che la presidenza Trump sta avendo sulla società americana. Non risparmiando critiche al partito democratico. “Per fortuna la costituzione impedirà danni gravissimi al Paese, ma ci saranno comunque molte difficoltà. Soffriranno anche le persone che hanno votato per Trump. La colpa però non è solo di questi cittadini, c’è anche un problema politico legato all’establishment. Io spero che il partito democratico riesca a liberarsi dalle lobby che l’hanno influenzato nell’ultimo periodo e trovi dei rappresentanti diversi da quelli visti finora. Prima dell’elezione di Trump mi sono trovato a cena con mia moglie e alcune sue amiche, tutte professioniste che in realtà odiavano Hillary Clinton e che non l’hanno votata. Questo per dimostrare come i democratici negli Stati Uniti debbano con urgenza cambiare i loro candidati”.

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